Regia di Tom McCarthy vedi scheda film
Da un regista che ha impiegato 18 mesi, e non da solo, per riscrivere la versione iniziale della sceneggiatura mi aspettavo di più. Ho trovato forzata la commistione tra storia giudiziaria e vicenda sentimentale. Tanti i personaggi e le situazioni che a mio avviso non sono credibili.
Il protagonista, ex violento e alcoolizzato, che dall'inizio alla fine appare talmente calmo e controllato da sembrare sedato. La donna che lo ospita stabilmente in casa invita una sera un collega con cui ha un flirt. L'ex poliziotto non si capisce per chi giochi è perché. Ah, dimenticavo: il tentato suicidio della figlia che non lascia tracce nelle scene successive. Evidentemente nel montaggio il regista ha tagliato parecchio materiale, sebbene il film sia già maledettamente troppo lungo.
Sul versante giudiziario, le cose vanno ancora peggio. La condannata che vuole a tutti i costi trovare un sospetto che potrebbe confermare la sua colpevolezza. Il padre che prima fa di tutto per trovarlo e poi lo dimentica per mesi prima di rivederlo per caso. Il processo che viene riaperto sulla base di una prova, peraltro acquisita illegalmente, che non rappresenta alcunché di nuovo, se non l'esistenza di una persona che esisteva anche prima.
E poi il ritratto di una famiglia americana fatta di "perdenti" (denuncia di una situazione sociale difficilissima) attraverso il racconto di un caso "Amanda Knox" dei poveri sfida ogni credibilità e plausibilità. I giovani americani che vengono a studiare in Europa sono figli di famiglie ben più che benestanti, sveglia!
Sul siparietto tra lui, indefesso lavoratore con troppa sofferenza sulle spalle, che accetta il mondo razzista e lei che invece, da buona simpatizzante di una sinistra politicamente corretta, ne è disgustata, non so che dire.
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