Regia di Ron Howard vedi scheda film
Elegia americana vuole mostrare allo spettatore quella parte dell'America periferica, spesso in ombra, che viene apparentemente dimenticata a favore delle scintillanti e pompose metropoli. In realtà, i sobborghi sono solamente un finto taboo nel vasto panorama della narrazione americana: chiaramente quest'opera si inserisce tranquillamente all'interno di parametri moralmente rappresentabili della società USA: i problemi della sanità pubblica ed il forte dislivello educativo tra le diverse classi sociali sono problemi ormai sdoganati e, a tratti, sbandierati. Meglio ancora che questi temi si accompagnino con una biografia che racconti di rivalsa ed autodeterminazione, non senza un certo grado di compiacimento, il tutto tratto da un libro scritto dal protagonista stesso della storia.
Quindi, tralasciando il soggetto dell'opera, cos'è che mi ha fatto apprezzare Elegia americana? La risposta è semplice: Ron Howard. Certo, si tratta di un regista pienamente inquadrabile negli ingranaggi dell'industria cinematografica statunitense, eppure sono davvero pochi gli autori pop capaci di raccontare con semplicità quella che è la storia di tante vite, l'una dipendente dall'altra. Una regia solida, che ha l'orecchio per inquadrare le epoche e le atmosfere, oltre che il ritmo per alternare narrazione e dialoghi in un equilibrio che crea due ore assolutamente prive di noia, nonostante la banalità dei buoni sentimenti e di un happy ending giustificato dalla vita reale.
Ottima la colonna sonora di Hans Zimmer e David Fleming, mentre l'interpretazione di Glenn Close cade a volte nel macchiettismo.
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