Regia di Ron Howard vedi scheda film
Dramma umano e sociale ispirato all'autobiografia di J.D. Vance . Non male
Il film inizia con la voce off di un predicatore, che lamenta la progressiva fine della solidità familiare e la disgregazione dei valori morali,poi a seguire un piccolo squarcio sulle vacanze estive del protagonista J.D. Vance, autore vivente dell’autobiografia cui il film s’ispira, che va con la memoria alla sua terra natia del Kentucky, quando i suoi nonni e i suoi genitori salutavano con gioia il ritorno nella loro casa nell’Ohio, che per loro rappresentava il mondo civile.Lo ritroviamo ormai adulto, dopo che ha prestato servizio come marine, ora studia legge a Yale, è uno studente laborioso e brillante, sta per ottenere il lavoro da sempre agognato e per questo deve affrontare un decisivo colloquio. Ma, all’improvviso, una crisi familiare lo costringe a tornare a casa, nel suo paese in Ohio, ai piedi degli Appalachia, a fare i conti con il proprio triste passato. E, soprattutto, con la madre Bev, un’ex infermiera eroinomane, squilibrata e instabile, che ha sempre lasciato J.D e sua sorella in balia degli eventi, passando da un partner all’altro, da una casa all’altra, tra attacchi d’ira e crisi depressive. Attraverso frequenti flashback, scopriamo i dettagli dell’infanzia di J.D., tra miseria e violenza,in periferie desolate. L’unica ancora di salvezza era stata la nonna Mamaw, che per quanto antipatica e di carattere brusco e sbrigativo, era stata l’unica che, preso a cuore il nipote, lo aveva educato e cresciuto, impartendogli buone lezioni di vita ,sani principi e soprattutto mettendolo al riparo dalle tempeste emotive della madre, cosi il nostro era andato avanti lacerato emotivamente, in un sentimento conflittuale, tra il desiderio di fuga e l’affermazione della sua identità. La trasposizione cinematografica del romanzo autobiografico di J. D. Vance,è un’anacronistica celebrazione del sogno americano. Lo scrittore dovrebbe essere la testimonianza vivente di questo mito che però è ormai in declino, si è laureato a Yale nonostante provenga da una modesta famiglia operaia dell’Ohio. La regia del buon cineasta Ron Howard è il plus-valore della storia. Il best-seller da cui è tratto, è entrato nel dibattito politico. La triste decadenza dei centri urbani nati intorno alle acciaierie e alle miniere di carbone, non fa solo da sfondo al film, ma ne evidenzia il deteriorato tessuto sociale e politico I presupposti per una buona storia di formazione, ci sono, però in sostanza mancano elementi nuovi, la tensione drammatica della storia è inevitabilmente attenuata dal fatto che il suo esito finale è scontato. Tuttavia, Ron Howard riesce comunque a colorare la trama, con un’accurata analisi delle dinamiche familiari , seguendo le vicende di tre generazioni, ognuna con le proprie difficoltà, narra dell’infanzia autobiografica dello scrittore, dei drammi che una famiglia può ritrovarsi a vivere, del sogno infranto di un riscatto, sfiorato, ma mai raggiunto pienamente. Ma è anche un viaggio in un’America divisa e ferita, un Paese frustrato con una classe operaia rurale, che un tempo era il motore del sogno americano e che ora, invece, vive di sussidi, e squilibri. Un mondo di outsider,guardato con diffidenza dall’America delle metropoli, come illustra bene il titolo originale del film, Hillbilly Elegy: hillbilly è, infatti, il termine dispregiativo, con cui gli americani cittadini, chiamano gli abitanti delle aree rurali e montuose degli Stati Uniti d’America. La tentazione di abbandonare i solidi valori rurali davanti al cinismo della corsa al successo, è un leitmotiv nel cinema di Howard. Il film inizia addirittura con la citazione steinbeckiana di una tartaruga che attraversa la strada. Il suo carapace è danneggiato ma non può vivere senza la protezione della sua casa e la sua natura gli permette di ripararla. Glenn Close e Amy Adams regalano un’interpretazione perfettamente centrata.Stroncato inesorabilmente dalla critica, Il film non è memorabile, tuttavia si segue volentieri
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