Regia di Ron Howard vedi scheda film
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Il dramma di una famiglia senza speranze si consuma fra i monti Appalachi, nel ‘profondo’ Nord della parte orientale degli Stati Uniti. In una società indefinita e senza sbocchi culturali né buoni esempi da dare, nonni, genitori e figli sono allo sbando, alla mercè di ciò che la vita mette loro nel piatto giornaliero. Alcol, droga o sesso incontrollato che sia. L’unica possibilità di riscatto sta tutta in un bambino sensibile, nella sua forza e capacità di resistere alla sconfortante meschinità dell’universo in cui nasce ed è costretto a formarsi.
Il senatore repubbicano dell'Ohio, J.D. Vance, autore del soggetto del film ((foto CNN)
Di questo preludio d’esistenza così svantaggioso racconta J.D. Vance – al secolo il senatore repubblicano dell’Ohio (designato proprio con le elezioni di medio termine di quest’anno) e operatore finanziario di successo James David Vance – nel proprio libro bestseller Hillbilly Elegy: A Memoir of a Family and Culture in Crisis, iconografia della propria complicata giovinezza a Middletown (contea di Crawford, Ohio). A farne un lungometraggio discusso e discutibile – fulminato come “il peggior film della carriera” da parte della critica Usa – è stato nel 2020 Ron Howard (quest'anno è uscito il suo ultimo lavoro, Tredici vite), uno dei più apprezzati registi degli ultimi quarant’anni, che ha sempre alternato opere di altissimo valore a prodotti più commerciali senza, comunque, perdere mai di vista un livello minimo di qualità artistica.
Il regista Ron Howard sul set con alcuni componenti 'reali' della famiglia Vance (foto repubblica.it)
L’indimenticabile Richard ‘Richie’ Cunningham della serie tv Happy Days, chiama per la prima volta la sceneggiatrice Vanessa Taylor (La forma dell'acqua, 2017) per uno script non facile da realizzare considerata la quantità e complessità di situazioni raccontate da Vance e la continua alternanza di passato e presente della vita dell’autore - dall’infanzia all’università, ambizioso studente a Yale ma afflitto da complesso dell’underdog (cfr., Giorgia Meloni, presidente del consiglio italiano in carica dal 22 ottobre 2022) – che si traduce in un impianto filmico basato sul flashback. Tecnica che Howard gestisce molto bene, tuttavia senza riuscire a tappare le falle di una sceneggiatura che perlopiù banalizza questa sorta di epopea personale del protagonista, incastrando troppa roba in meno di due ore (forse, visto il genere, si sarebbe pupotuto arrivare anche a due e un quarto, così da spalmare meglio il racconto), con dialoghi che non sempre rendono giustizia all’importanza del messaggio contenuto nei racconti dell’autore.
Anche il cast selezionato per l’impresa non è in consonanza con le apparenti ambizioni dell’opera, la quale vorrebbe andare oltre il racconto della vicenda privata di un uomo e analizzare a fondo il modo di vivere nella provincia statunitense e le sue conseguenze su tutta la cultura e i comportamenti della società a stelle e strisce. Così, non basta a tenere alto il livello la buona prova della sempre incisiva Glenn Close (The Wife - Vivere nell'ombra, 2017) nelle vesti un po’ logore della nonna, chiamata a salvare il nipote da un rapporto impossibile con la madre, sua figlia, per la cui misera vita continua a colpevolizzarsi e riscattarsi tentando di trasmettere consapevolezza e ambizione al piccolo J.D.. Lanciato a 17 anni nel cast dell'apprezzato fantascientifico Super 8 di J.J. Abrams, per l’ancora under 30 Gabriel Basso questa di Elegia americana era forse la chance più ghiotta. Per lui il ruolo principale del J.D. adulto (nella parte del ragazzino c'è Owen Asztalos). L’attore di Saint Louis offre un’interpretazione dignitosa ma senza incidere in quanto a guizzi, penalizzato probabilmente anche dalle carenze insite alla scrittura stessa. Personaggio chiave anche per una Amy Adams (vista di recente nell’incerto La donna alla finestra, del 2021) – con qualche chilo in più per necessità di ruolo - chiamata alla personificazione forse più impegnativa, quella della mamma di J.D., ex infermiera bipolare e depressa, soggetta a continui sbalzi umorali, incontrollabile nel suo rapporto con familiari e compagni di vita. Anche qui è centrato l’obiettivo dell’attrice nata in Italia (a Vicenza, caserma Ederle, dove il padre era militare Usa della Southern European Task Force) ma anche in questo caso senza riuscire a convincere fino in fondo. Se la cava meglio di altri Haley Bennett (La ragazza del treno, 2016), sorella di J.D. costretta spesso a sostituirsi alla madre nel soccorso al ragazzino e lei stessa a rischio di riprodurre le gesta sconsiderate che hanno segnato la famiglia. Piccola parte per la brava Freida Pinto (interprete indiana esplosa nel 2008 grazie alla commedia di successo The Millionaire), qui fidanzata del protagonista, brillante e comprensiva.
In un mondo difficile, intriso di pregiudizi per i ‘campagnoli’ cresciuti all’ombra delle montagne, te la cavi se diventi forte, come un terminator. E se un piccolo uomo non è terminator di natura, dovrà imparare a esserlo. Film da vedere, con la consapevolezza di non trovare un Ron Howard da Oscar.
Voto 6,6.
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