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Come un gatto in tangenziale - Ritorno a Coccia di Morto

Regia di Riccardo Milani vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Come un gatto in tangenziale - Ritorno a Coccia di Morto

di axe
5 stelle

Tre anni dopo la conclusione della loro storia, Monica (Paola Cortellesi) e Giovanni (Antonio Albanese) si trovano in situazioni molto diverse. La prima, pur avendo cercato di vivere onestamente, è finita in carcere a causa delle malefatte delle sorelle cleptomani e traffichine Pamela e Sue Ellen (le sorelle Giudicessa). Il secondo fa coppia con la manager Camilla; i due sono impegnati in un grande progetto di recupero ai fini (teoricamente) sociali di uno stabile dismesso. I figli Alessio ed Agnese, sono, per motivi diversi, a Londra. Monica vorrebbe tener nascosta la sua detenzione ad Alessio, il quale annuncia un prossimo ritorno a Roma. La donna, pertanto, chiede aiuto a Giovanni, che ottiene per lei la misura alternativa dell'affidamento ai servizi sociali, diventandone garante. Monica è assegnata ad una parrocchia i cui spazi confinano con lo stabile in ristrutturazione sul quale stanno lavorando Giovanni e Camilla. Inizia così un'intricata vicenda destinata ad unire nuovamente i due protagonisti, i quali trovano, nell'epilogo, un ulteriore motivo per condividere il futuro. Riccardo Milani dirige il sequel di "Come Un Gatto In Tangenziale" tornando a raccontare i due ambienti sociali da cui provengono Monica e Giovanni, un sottoproletariato urbano abituato a vivere tra disagi di ogni tipo ed illegalità diffusa, ed un'alta borghesia radical-chic. Il regista romano eleva nei confronti di questo ambiente una critica che coglie nel segno. Lo descrive pervaso da una tensione all'interesse sociale che si rivela indefinita ed inconcludente; ben più concreti sono, però, gli interessi che vi ruotano intorno, quali la gestione di fondi pubblici ed il denaro degli sponsor. Il personaggio nel quale s'incarna questa ipocrisia di fondo è Camilla, allineata con il pensiero "radical-chic" ma estremamente intollerante verso chi non ha la fortuna di appartenere alla sua classe sociale. Ben diverso da lei è il parroco Don Davide (Luca Argentero), a favore dei disagiati non con le parole, ma con i fatti. Il regista non è invece oggettivo nel valutare - e far valutare - l'ambiente di provenienza di Monica. Il sottoproletariato è tratteggiato come un eterogeneo insieme di personaggi variopinti, in difficoltà per vari motivi, ma solidali tra loro e ricchi di voglia di vivere. Nulla da dire sotto quest'ultimo aspetto, ma la rappresentazione edulcorata di questi "ultimi" li identifica esclusivamente come vittime, e non come possibili complici, del loro essere tali. La realtà, a questo proposito, è talmente frammentata da superare di molto la fantasia. Convivono - spesso con difficoltà - persone che non hanno avuto alcuna possibilità di migliorare le proprie condizioni, con altre che l'hanno avuta, gettandola al vento per i più vari motivi; criminali per necessità, con criminali per smania di ricchezza ed ambizione; gente che vive nella paura di questi ultimi, non piegando la testa, e gente che, per quieto vivere, li asseconda. La conseguenza dell'occupazione di un appartamentamento è la sua sottrazione ad un avente diritto - nel caso di alloggio popolare, un altro disgraziato che aspetta il suo turno per ottenerne l'assegnazione - questo il regista non lo dice. La Monica di Paola Cortellesi è un po' di maniera, ma sempre ben caratterizzata, con la sua disillusione, il suo spirito critico espressione di saggezza popolare, la consapevolezza dei suoi limiti ed un'etica che la porta spesso a far la cosa giusta al momento giusto. Il compassato Giovanni, pur appartenendo ad un altro "mondo", è in grado di adeguarsi ad ogni contesto. La sceneggiatura soffre di qualche lungaggine di troppo; in particolare l'epilogo è molto "stiracchiato". Tra gli altri temi che il regista tocca, la violenza sulle donne - incidentalmente e senza pretesa di completezza - e la precaria condizione degli "invisibili" dello spettacolo, i tanti operai, tecnici, operatori dell'indotto le cui sorti sono inevitabilmente legate a quelle dei personaggi di primo piano, ma i quali, differentemente da loro, se non lavorano per un qualche tempo ... non mangiano. Rivolge, infine, un invito alla solidarietà univerale, facendo riferimento, pur non citandolo, al miglior spirito del lockdown del 2020. Ritengo che il maggior difetto di quest'opera sia il voler piacere ad un pubblico più vasto possibile. Per raggiungere questo scopo, il regista è molto didascalico nella sua esposizione, scivola nel buonismo e rinuncia ad una completa obbiettività nella sua analisi sociale. Se si è disposti a soprassedere, il film risulta piacevole. In caso contrario, ci si diverte comunque, ma rimane un po' d'amarezza. 

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