Regia di Roberto Andò vedi scheda film
“…uno dà il meglio di sé quando ha una pistola puntata alla testa”, recitava John Travolta in “Get shorty”, riferendosi a Orson Welles. Anche il Gabriele Santoro de “Il bambino nascosto” di Roberto Andò, riemerge dal proprio torpore esistenziale quando deve salvare il piccolo Ciro da una morte probabile. La vita di Gabriele, maestro di pianoforte con cattedra al Conservatorio, è abbastanza abitudinaria. Vive in una vecchia palazzina di un piccolo quartiere di Napoli, il Materdei, circondata da un’atmosfera malavitosa che osserva dalla finestra del suo grande appartamento ben arredato e pieno di libri. Quando Ciro, il figlio di Carmine Acerno, un camorrista che abita sopra Santoro, scappa di casa l’equilibrio dell’insegnante viene spezzato. I rapporti con il fratello, un alto magistrato in odor di C.S.M., sono pessimi. Va meglio col padre, un uomo colto e con una memoria letteraria più accorta del figlio. Le giornate di Santoro sono scandite come da un metronomo: la spesa, il giornale, le lezioni pubbliche e private, le visite inaspettate di Diego, braccio destro del boss di quartiere De Vivo. Diego è un ex promettente allievo di Gabriele, scivolato nella malavita locale, seppur camuffato dalla gestione di due locali. Il rapporto con il maestro è cordiale e irriverente, ambiguo e vigile. L’inghippo in cui è cascato Ciro con il coetaneo…, non ferma l’uomo dall’accudire il singolare rifugiato. Ci sono attimi di tensione e la conseguente breve fuga quando Gabriele incontra il suo compagno Biagio. La scena viene rappresentata con lo sguardo di Ciro, da dentro il suo “rifugio”. Il superamento di questo “trauma” porta ad uno scatto nella narrazione. Santoro entra in media res: recuperata una pistola da un luogo segreto indicato da Ciro, egli segue Diego e De Vivo il boss/mente del gioco al massacro in cui sono incappati i due minorenni. Sarà l’inizio di una nuova fuga e di una rinascita.
“Il bambino nascosto” ha diverse frecce al suo arco: attori illuminati come Silvio Orlando, ottimo e sensibile interprete, lo scugnizzo di Giuseppe Pirozzi, il disturbato Diego di Lino Musella, camei preziosi come Gianfelice Imparato, Roberto Herlitzka, Tonino Taiuti e Francesco Di Leva.
La regia di Andò racconta (spesso accompagnate da sonate di pianoforte e dal rap decisivo “Nisciun” di Luchè N’tengo paura ‘e nisciune!) le emozioni trattenute, i silenzi significanti degli interni eleganti e gli esterni nudi e crudi ed estremamente realistici: tutte le scene in cui fa capolino la camorra, compresa l’emblematica scena del locale con il mostruoso boss. Gabriele ha sempre preferito osservare da lontano la vita e…la morte, come quella che sfiora con una Beretta in mano. Vede ciò che non deve vedere ma può bastare per dare una svolta a se stesso e al futuro di Ciro. Il finale in crescendo e a lieto fine è un’emozione unica, necessaria e liberatoria.
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