Regia di Roberto Andò vedi scheda film
Che brutti scherzi può farti la solitudine. Può persino capitarti che, se vivi ai quartieri spagnoli di Napoli, ti si infili in casa un dodicenne (Pirozzi), figlio di un camorrista. È quanto accade allo schivo Maestro Gabriele Santoro (un sontuoso, impeccabile Silvio Orlando), una cattedra di pianoforte al conservatorio e un’esistenza anacoretica spezzata soltanto da qualche lezione privata, gli incontri centellinati con il suo compagno (Di Leva) e la routine del giornale acquistato nell’edicola davanti a casa. Dapprima inconsapevole del piccolo ospite, Gabriele decide di non denunciarne la scomparsa, anche perché il ragazzino – reo di avere mandato in coma la madre di un boss durante uno scippo terminato male – teme di fare una brutta fine. Tra il Maestro e il guaglioncello comincia così una difficile coesistenza che porterà ciascuno dei due a scoprire l’altro.
Tratto da un suo romanzo, il film di Robertò Andò è anche l’opera migliore del regista palermitano, un doppio racconto di formazione (quella del giovane Ciro, ma anche quella dell’indolente Maestro di pianoforte che per tutta la vita ha scansato qualsiasi opportunità lo potesse trascinare fuori dalla sua zona di comfort) costantemente giocato per sottrazione, dal quale emerge con forza il dubbio morale del protagonista: riconsegnare il ragazzo alla famiglia, che lo sta cercando forsennatamente, o salvarlo dai suoi aguzzini? Il dilemma coinvolge inevitabilmente lo spettatore, trascinato in un racconto che, nella seconda parte, si trasforma in un vero e proprio giallo.
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