Trama
Gabriele Santoro vive in un quartiere popolare di Napoli ed è titolare della cattedra di pianoforte al Conservatorio San Pietro a Majella. Una mattina, mentre sta radendosi la barba, il postino suona al citofono per avvertirlo che c'è un pacco, lui apre la porta e, prima di accoglierlo, corre a lavarsi la faccia. In quel breve lasso di tempo, un bambino di dieci anni si insinua nel suo appartamento e vi si nasconde. "Il maestro" – così lo chiamano nel quartiere - se ne accorgerà solo a tarda sera. Quando accade, riconoscerà nell'intruso, Ciro, un bambino che abita con i genitori e con i fratelli nell'attico del suo stesso palazzo. Interrogato sul perché della sua fuga Ciro non parla. Nonostante questo, il maestro, d'istinto, decide di nasconderlo in casa, ingaggiando una singolare, e tenace, sfida ai nemici di Ciro.
Curiosità
INTERVISTA AL REGISTA
Come è nato questo film?
È il risultato di una libera trasposizione del mio romanzo Il bambino nascosto, pubblicato un paio di anni fa da La nave di Teseo. Quando scrivo un romanzo non penso mai alla possibilità di adattarlo per il cinema, ma com’era successo per Il trono vuoto, vari amici, dopo averlo letto, mi hanno detto che sembrava fatto per diventare un film. E così ho cominciato ad accarezzare l’idea, ma mi sono fatto aiutare da uno scrittore e poeta come Franco Marcoaldi. L'ispirazione è la stessa del libro, ma il film ha un finale totalmente diverso. Quando si legge un romanzo ognuno immagina i personaggi come vuole, nel caso di un adattamento cinematografico è il regista che deve dare loro un volto, e per me ha contato molto il piacere di far vivere sullo schermo i due protagonisti affidandoli a un attore di grande talento come Silvio Orlando e a un bambino sconosciuto come Giuseppe Pirozzi.
Che cosa viene raccontato in scena?
Io e Marcoaldi abbiamo riadattato la storia di Gabriele Santoro (Silvio Orlando), un solitario e malinconico insegnante di musica sessantenne, titolare della cattedra di pianoforte al Conservatorio San Pietro a Majella, un borghese che ha deciso di trasferirsi in un quartiere difficile di Napoli – nel romanzo era Forcella, nel film è Mater Dei - una scelta eccentrica compiuta per allontanarsi dalle proprie origini. Una mattina, mentre si sta facendo la barba, Santoro apre la porta al postino che ha suonato al citofono e prima di accoglierlo corre a lavarsi la faccia. In quei brevi momenti, un bambino di dieci anni (Giuseppe Pirozzi) si introduce in casa furtivamente e vi si nasconde. Il "maestro" si accorgerà della presenza dell'ospite inatteso soltanto la sera e riconoscerà in lui Ciro, un ragazzino che abita con i genitori e con i fratelli al piano di sopra. Interrogato sul perché della sua fuga, il bambino, scontroso e taciturno, non gli darà nessuna risposta. Vedendolo terrorizzato, il pianista, d’istinto deciderà di sfidare il pericolo e tenerlo nascosto in casa.
Che cosa attrae i due personaggi uno verso l'altro?
Direi che il nucleo del film, al di là dei fatti, è in una zona invisibile, di cui le situazioni concrete circoscrivono il limite.
Sì, c’è la camorra, e c’è il crimine come retroterra di questa storia, c’è un oltraggio al crimine per il quale il bambino, Ciro, deve pagare un prezzo, ma quello che muove il gioco avviene in una zona franca dove si incontrano due esseri umani molto particolari. Un adulto che si è, da tempo, volontariamente, messo fuori dal gioco e un bambino che, senza volerlo e senza saperlo, si è condannato a morte. Si incontrano in una casa che diventerà la loro prigione, in un quartiere degradato di quella città-arcipelago che è Napoli, dove l’orrendo e il sublime convivono a un passo l’uno dall’altro, a volte senza incontrarsi mai.
E dopo il sospetto iniziale, cominciano un curioso training emotivo e conoscitivo. Ognuno è costretto a capire chi è l’altro, e a imparare l’alfabeto di una grammatica nuova, della quale, ognuno dei due, non conosce le regole. Questo è il cuore del film (come pure del romanzo), e anche il movente, la sfida, da cui sono partito. Far emergere da un paesaggio in rovina, due figure, un adulto e un bambino, che dapprima sono costrette a nascondersi e a elaborare una forma di convivenza, e dopo ad amarsi come padre e figlio.
Sono cresciuto in una città, Palermo, dove il crimine è un luogo comune e anche un alibi per non affrontare chi si è. Come sempre, l’avere un nemico, rende tutto più semplice. L’oltraggio peggiore che deriva dal convivere giorno per giorno col crimine è il pericolo di essere inconsciamente abitati dai gesti e dalle parole che ne riproducono la voce. Di esserne invasi interiormente, e moralmente.
Per difendersi da questo pericolo, il mio protagonista, Gabriele Santoro, vive in una sorta di dormiveglia. È un musicista e questo gli rende le cose più facili. Essendo abituato a questo stato mentale, è predisposto ad accogliere la complessità del mondo facendo a meno delle parole. Noi che siamo nati al sud, dal momento in cui emettiamo il primo vagito e apriamo gli occhi, siamo prigionieri di un paesaggio indolente che, il più delle volte, non sembra scalfibile. Il mio protagonista è peraltro uno che per scelta non ha previsto discendenze, che non ha figli. È un uomo solo. Un intellettuale che intrattiene un dialogo intenso solo con se stesso, che non ha
contatti col mondo. Vive immerso in una vera e propria penombra della mente e quando scopre il bambino nascosto in casa, si risveglia da questo stato sonnolento ed è costretto ad agire. Da quando scopre Ciro in casa, da quando capisce che non c’è nessuno a cui delegare la protezione e la salvezza di questo bambino, e che la legge, rappresentata dal fratello magistrato, se ne lava le mani, inizia a relazionarsi con Ciro in modo diverso e, via via, dopo una iniziale diffidenza, cresce un rapporto che alla fine lo legherà in maniera profonda a lui. Il bambino gli fa ritrovare una energia che sfugge a qualunque definizione se non a quella che circoscrive l’affetto di un padre. Qualcuno ha detto che il cinema, la letteratura, l’arte, sono i luoghi degli strappi che non si possono ricucire. Ciro, il bambino nascosto, è uno di quegli strappi. L’unico che si illude di salvare Ciro è il professore di pianoforte, e quando capirà questa verità ineludibile non potrà più sottrarsi al suo destino”
Santoro inizia a indagare silenziosamente nei dintorni della sua casa per cercare di capire che cosa ci sia dietro alla fuga di Ciro e quindi si prepara a suo modo a dare battaglia.
Sì, capisce che c’è una chiamata emotiva per lui, alla quale non può fare altro che corrispondere e comincia un'inaspettata avventura che avrà delle conseguenze notevoli nella sua vita. Inizia a muoversi come un rabdomante sia nel suo stesso condominio, sia nel suo quartiere. Capisce che Ciro ha fatto uno “sgarro” scippando la madre di un boss della camorra e il bambino intuisce a sua volta che il professore è l’unico che potrà aiutarlo, l’unico non sottomesso ai vincoli criminali che legano il quartiere.
Chi sono gli altri personaggi della storia?
Gabriele si confronta con il padre magistrato (Roberto Herlitzka) e con il fratello Renato (Gianfelice Imparato), a sua volta uomo di legge, col quale ha un rapporto pieno di durezze e di incomprensioni. È la prima persona a cui si rivolge, gli racconta la storia di Ciro come se non fosse capitata a lui ma ad altri, ma il fratello capisce subito i reali contorni della vicenda e lo invita a lasciarlo in pace e a riconsegnare il ragazzino alla sua famiglia, mettendo in luce un conflitto tra la legge astratta (Creonte) che non vuole farsi carico del problema e la legge naturale (Antigone) di chi non vuole abbandonare il bambino a se stesso. E Santoro deve cavarsela da solo. Inizia a ricevere varie visite e realizza che sono tutte indirizzate alla ricerca del fuggitivo, soprattutto quelle di un suo ex allievo ora vicino alla camorra (Lino Musella) che in passato ha frequentato il Conservatorio e ne è stato espulso per cattiva condotta. Un uomo che porta con sè anche un certo risentimento e che ha con il professore un rapporto ambivalente. Tra i diversi personaggi, tutti interpretati da attori di grande valore della scena napoletana spiccano anche i genitori di Ciro, in conflitto tra loro, la madre (Imma Villa) che vorrebbe salvarlo e il padre (Sasà Striano) disposto a sacrificarlo pur di salvare la propria famiglia; l'amante di Santoro (Francesco Di Leva) e un accordatore di pianoforte che appare in una situazione chiave del film (Tonino Taiuti).
Che tipo di Napoli avete portato in scena?
Una Napoli insolita, vista di sbieco, filtrata attraverso gli interni. Una città che abitualmente è consegnata a una immagine molto solare e che qui invece è crepuscolare e ritrosa. Da quando vi abito per motivi di lavoro (Andò è il direttore artistico del Mercadante-Teatro Nazionale di Napoli, ndr), ho scoperto che Napoli ha un'anima nascosta, molto diversa dal cliché con cui è spesso raccontata. Come dicevo, il film si svolge quasi tutto in un appartamento al quartiere Mater Dei, accanto al rione Sanità, dove ho trovato la geografia e l’atmosfera che cercavo: la palazzina in cui vive il protagonista, il cortile, il rapporto con le strade intorno, la dimensione popolare. Mi interessava raccontare da un lato una città che, come spesso accade al Sud, vive una vera e propria occupazione da parte del crimine, e, dall'altra, il senso della bellezza oltraggiata, dell’innocenza violata, un grande tema che si ritrova nei sottintesi della storia. Ho scelto Napoli per sentirmi libero di reinventarne gli scenari e per ribadire che anche lì la criminalità organizzata non ha regole o forme di cautela. Nella storia, l’adulto dovrebbe essere il salvatore e il bambino il salvato ma alla fine è come se si salvasse anche l'adulto, è come se la sua vita ritrovasse finalmente un senso.
Come e perché ha scelto Silvio Orlando?
Conosco da tempo Silvio e lo avevo già diretto in teatro anni fa nel Dio della carneficina di Yasmina Reza. Penso che sia arrivato a una maturità esemplare. È un grandissimo attore e ho pensato subito che sarebbe stato giusto per questa storia. Il suo volto tenero e dolente, buffo e profondo, mi ha subito restituito i tratti di Gabriele Santoro. La grandezza di un attore come Orlando è nella capacità di raccontare una dimensione umana ferita, dimessa, con un'apertura grandiosa e imprevedibile di riscatto. Silvio porta con sè una specie di smorfia dolente che al momento opportuno diventa vitale e racconta un calore umano inarrivabile, una grande capacità di amore. Questa sensazione si avverte in tutto il film e lui l’ha interpretato con grande rigore e con un'enorme capacità sottrattiva.
Come e perché ha scelto il piccolo Giuseppe Pirozzi per il ruolo del coprotagonista?
Ho scelto Giuseppe dopo mille provini. Con Marita D’Elia, la mia responsabile del casting, abbiamo effettuato un lavoro molto lungo e faticoso per trovare Ciro. Lei ha setacciato le scuole e persino le strade di Napoli, e poi, finalmente, un bel giorno, ci siamo imbattuti in Giuseppe. Un ragazzo che ha rivelato subito una sensibilità incredibile, e una capacità naturale di entrare nel personaggio. Ha stabilito anche un legame profondo con Silvio Orlando con cui è scattato una sorta di gioco e di complicità allegra, qualcosa di imprevedibile che ha giovato molto al film.
Quali nessi ci sono con il suo cinema precedente?
Credo che esista una certa continuità col tema della vita imprigionata che cerca pretesti per liberarsi. Il senso del film è tutto in questo confronto morale tra il vecchio e il nuovo, tra la cultura e l’emozione, tra la vita e la morte.
Trailer
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Commenti (13) vedi tutti
Il bambino nascosto delicato film su due anime sole che si incontrano e si comprendono …… bellissimo il finale che impreziosisce il film.
leggi la recensione completa di claudio1959retorica buonista e propaganda omosessuale rovinano quello che poteva essere un buon film.
commento di gherritIntenso e coinvolgente, peccato che in alcuni punti gli accadimenti non siano chiari. Voto: 3 stelle e mezza (2024)
commento di robynestabel film, pur un po' lento. Molto bravo Silvio Orlando
commento di Artemisia1593Un ottimo Silvio Orlando, finalmente privo di macchiettismi nevrotici come già in "Ariaferma", è il protagonista di questa buona pellicola di Roberto Andò incentrato sulla trasformazione di un mite e crepuscolare professore di musica davanti ad uno stravolgimento della sua ripetitiva quotidianità
leggi la recensione completa di galavernaSi capisce sin da subito che il Film è fatto bene e anche Recitato argutamente ahimè abbastanza velocemente (stranamente ...) incomincia a stancare (forse per l'Aria pesante ...) ! voto.6.
commento di chribio1Una commedia drammatica lenta che forse sarebbe andata meglio al teatro. Più che svolgere una trama descrive un ambiente ed una situazione sicchè al netto delle capacità interpretative di Silvio Orlando e delle belle sonate per pianoforte di famosi compositori anzichè avvincere quasi annoia. Almeno per me.
commento di bombo1Film eccellente e tutt'altro che scontato. Silvio Orlando, come sempre, superlativo!
commento di ndsOpera che non convince, mancando di anima e fallendo nel coinvolgere lo spettatore. Difficile immedesimarsi o farsi trasportare dalle emozioni che un dramma dovrebbe evocare. Ottimo, come sempre, Silvio Orlando, che però non può sollevare le sorti del film.
leggi la recensione completa di Souther78Un duetto di personaggi che viaggiano sul filo della suspence e un regista alla sua miglior prova di sempre.Per me consigliato e imperdibile....al bando di alcune critiche che preferisco bypassare.Voto 8.
commento di ezioMezzo italiano, mezzo dialetto questo film un po' troppo lento che si disperde in inutili chiacchiere e scene al limite della sopportazione.
commento di gruvierazPoteva completarsi meglio nella relazione "d'ambiente" tra i tentacoli camorristi del mondo di fuori e la bellezza difesa ad ogni costo da un solitario maestro di musica. Ma il film rimane nel limbo, con una sceneggiatura troppo ingessata per non sfuggire alla scontata previsione dei suoi sviluppi narrativi. Un grande Silvio Orlando non è bastato.
commento di Peppe ComuneUna vicenda originale, che mescola i tratti umani della relazione tra l'austero e solitario professore e l'irriverente ragazzino con l'onnipresente violenza camorristica, in una Napoli non stereotipata. Attori tutti straordinari.
commento di pattilucchini