Trama
Dee Dee Allen e Barry Glickman sono star del palcoscenico di New York City alle prese con una situazione critica: il loro nuovo e costoso spettacolo di Broadway è un grosso flop che ha improvvisamente distrutto le loro carriere. Nel frattempo, in una piccola città dell'Indiana, la studentessa del liceo Emma Nolan sta vivendo un dispiacere molto diverso: nonostante il sostegno del preside del liceo, il capo dall'associazione genitori-insegnanti le ha vietato di partecipare al ballo di fine anno con la sua ragazza, Alyssa. Quando Dee Dee e Barry decidono che la difficile situazione di Emma è la causa perfetta per aiutarli a riabilitare la propria immagine pubblica, si mettono in viaggio con Angie e Trent, un'altra coppia di cinici attori in cerca di un'ascesa professionale. Ma il loro egocentrico attivismo, tipico delle celebrità, gli si ritorce inaspettatamente contro e i quattro si trovano a capovolgere le proprie vite mentre si riuniscono per offrire a Emma una notte in cui può celebrare chi è veramente.
Curiosità
3 DOMANDE AL REGISTA RYAN MURPHY
The Prom nasce come musical a Broadway. Cosa l'ha spinto a volerlo trasformare in un film, a produrlo e a dirigerlo?
Sono andato a vedere il musical nel gennaio del 2019. Ne avevo già sentito parlare ma non ne sapevo molto al di là della trama a grandi linee. Ricordo che quella sera nevicava ed ero da solo. Si da subito due cose mi sono saltate all'occhio: lo spettacolo era davvero divertente ed elegante, in grado di portare sollievo nel bel mezzo di un periodo non particolarmente felice per il nostro paese; e aveva nel suo pubblico molte famiglie, genitori con i figli, omosessuali ed etero, tutti accomunati dalla voglia di ridere o di piangere a seconda dei momenti. Mi ha poi particolarmente colpito la storia: a un'adolescente viene negata la possibilità di andare al ballo di fine anno a causa della sua omosessualità. In poche parole: è quello che è accaduto a me, che sono originario dell'Indiana. Ho pensato che sarebbe stato bello se ai miei tempi ci fosse stato uno spettacolo così, da far vedere ai miei genitori... Sul volo di ritorno verso Los Angeles non ho smesso di pensare alla storia e ho cominciato quasi per scherzo a stilare una lista degli attori con cui mi sarebbe piaciuto lavorarci, con in cima Meryl Streep, che avevo conosciuto in qualche occasione pubblica ma con cui mi sono sempre dimostrato molto timido, James Corden, Nicole Kidman, Kerry Washington e Keegan-Michael Key. Dopo qualche giorno avevo già contattato i loro agenti e nell'arco di una settimana il cast era pronto. Come per magia, in meno di un mese è arrivato anche il via libera di Netflix.
Come ha scelto invece le giovani attrici per i ruoli delle giovani Emma Nolan e Alyssa Greene?
Il casting è durato sei mesi. E il che era anche ironico: avevamo un cast stellare e ci mancavano le due protagoniste! La colpa per certi versi è mia: volevo che il pubblico scoprisse due volti nuovi e freschi in grado di sorprendere con la forza e il brio dei loro personaggi. Dopo aver visto filmati di giovani praticamente di tutto il mondo, ho ridotto il numero delle pretendenti a due: Jo Ellen Pellman e Ashley DeBose. Ho voluto incontrarle personalmente e ho preteso che si conoscessero prima che vedessero me: ho fatto in modo che si incontrassero nella stanza in cui mi stavano aspettando e cominciassero a familiarizzare. Quando poi sono arrivato io, ho chiesto a entrambe di parlarmi prima di tutto delle loro vite. Jo Ellen mi ha raccontato di essere una giovane queer originaria di una piccola cittadina, di essere stata cresciuta da una mamma lesbica single, di essersi diplomata e di aver visto proprio insieme alla madre il musical. Arianna invece mi ha parlato del suo sogno di diventare attrice, di aver partecipato già al musical Hamilton e di aver finito di girare West Side Story con Steven Spielberg. Aveva dunque alle spalle già qualche esperienza ma ho amato che avesse le idee chiare sul personaggio che avrebbe dovuto interpretare per me e sul fatto che grazie a Netflix il suo lavoro sarebbe stato visto da un potenziale pubblico di 200 milioni di spettatori. Ed è stato così che le ho scelte e che ho cominciato a lavorare con loro. Nel giro di poche ore avevano raggiunto una chimica incredibile, divenendo amiche anche fuori dalla produzione. Per me era importante che mettessero in risalto come anche le storie gay hanno un lieto fine: spesso al cinema sono solo storie tragiche o dal finale drammatico.
Quali sono state le difficoltà maggiore nel dirigere per la prima volta un musical?
La principale? Dover dirigere Meryl Streep. La sola idea di dover lavorare con un mostro sacro come lei mi terrorizzava. Fortunatamente, Meryl è la persona più disponibile del mondo: si lascia dirigere e guidare come nessun'altra al mondo.
Le difficoltà più tangibili invece hanno avuto a che fare in prima analisi con il tono da dare al film: si doveva bilanciare il glamour degli attori di Broadway con quello della gente della piccola cittadina in cui arrivano e trovare un compromesso tra i loro mondi, così diversi e quasi agli antipodi.
La scena iniziale doveva essere poi ambientata per le strade di Broadway ma, ahimè, non abbiamo avuto i permessi per girare e siamo stati costretti a trovare un'altra location, un lotto di terreno abbandonato di Los Angeles che il nostro scenografo, il geniale Jamie Walker McCall, ha letteralmente trasformato nel quartiere di New York.
Non dimentichiamo infine che abbiamo lavorato in piena emergenza Covid-19: la scena finale con oltre 500 persone che ballano è stata un'impresa ma con l'aiuto di un gruppo di virologi siamo riusciti a farcela.
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