Regia di Paolo Taviani vedi scheda film
L'addio al cinema e alla vita di Paolo Taviani, in un film difficile ma di grande suggestione, una meditazione sul tempo che passa e spazza via ogni cosa.
La prima parte del film racconta l’avventurosa vicenda delle ceneri di Pirandello, talmente romanzesca da sembrare inverosimile, e invece è tutto sostanzialmente vero, grottesco, amaro, sconcertante, in una parola: pirandelliano. Se il Maestro avesse voluto organizzare uno scherzetto a sè stesso, non avrebbe potuto fare di meglio. La seconda vicenda è invece un ignoto fatto di cronaca, e suona un po’ posticcia, come qualcuno ha ben detto, ma ha una sua coerenza col resto: un delitto commesso a New York da un giovanissimo emigrante siciliano, che ispirò a Pirandello la sua ultima novella (Il chiodo) poco prima di morire. Questo è stato l’ultimo film di Paolo Taviani. Non è facile analizzarlo, perchè richiederebbe una conoscenza seria sia del regista che dello scrittore, che a me mancano. Possiamo però immaginare facilmente cosa abbia spinto il regista a realizzare questo film: la scomparsa del fratello, il presentimento della fine vicina, e il desiderio di chiudere un conto rimasto in sospeso da 40 anni, quello con l’episodio di Kaos (sulle ceneri) che i fratelli avevano rinunciato a girare per mancanza di fondi. E’ un film sul rapporto fra i vivi e i morti, sul tempo che passa inesorabile, una riflessione che probabilmente ai giovani parrà bizzarra e incomprensibile, ma che non può non toccare il pubblico maturo, almeno quello più sensibile. C’è in tutto un senso di fine, di disfacimento: la morte di Pirandello, il carico di dolore della guerra (con le belle immagini di un semidimenticato film neorealista, Il sole sorge ancora, di Aldo Vergano, interpretato tra gli altri dal giovane Carlo Lizzani, che mi riprometto di cercare), e poi ancora il senso di solitudine di Bastianeddu, e l’orrore del suo delitto, il suo tornare fino alla vecchiaia sulla tomba della sua vittima bambina. Casualmente (o forse no?) contribuisce a questa sensazione la presenza del grande Roberto Herlitzka, che partecipa al suo ultimo film, prestando la sua bellissima voce ai pensieri di Pirandello. Credo che il cuore del film stia in un dialogo fra i sacerdoti siciliani che preparano le esequie del Maestro. Il vescovo, un Bigagli sinceramente un po’ fuori parte, cita un romanzo pirandelliano, I vecchi e i giovani (ambientato ai tempi dei Fasci siciliani, giustamente definito da un prete “un po’ lungo ma bello”, che vi invito a leggere: non lo dimenticherete), e ricorda la dedica dell’autore: “ai miei figli, giovani oggi, vecchi domani”. Bisogna accettare il fatto che è un film che non spiega, non pontifica, non teorizza, ma suggerisce, evoca, traccia linee sottili, come fanno i poeti. E’ l’arte del non detto, preziosa e difficile. Proprio per questo non tutto è chiaro e convincente, ma nemmeno doveva esserlo nelle intenzioni dell’autore. Paolo Taviani voleva dire addio al cinema e alla vita, perchè non poteva concepire di andare avanti senza il suo “gemello”, e ha voluto farlo a modo suo, senza concessioni a un pubblico che raramente ha riempito per loro le sale, nemmeno quando hanno proposto opere più accessibili. E anch’io da spettatore mi sento un po’ in colpa per non essere stato abbastanza fedele a loro. Al suo funerale Marco Bellocchio ha detto: nulla è eterno, ma il cinema dei Taviani resterà nel tempo più a lungo di tanti altri celebrati autori. Lo voglio credere anch’io.
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