Regia di Paolo Taviani vedi scheda film
Quando non c'è bisogno di due ore e mezza per dire quello che si deve dire: ecco a cosa servono i Maestri del Cinema, come Paolo Taviani. Un film leggiadro e grottesco, malinconico e poetico, una dolce riflessione sul tempo che passa e sulla morte, non a caso dedicato all'inseparabile fratello Vittorio, scomparso nel 2018. Paolo non cambia il "marchio" Taviani e menomale: iniziando con le immagini del Nobel a Luigi Pirandello, 1934, prosegue con la vicenda delle ceneri del grande drammaturgo, che è essa stessa del tutto pirandelliana, fino alla loro definitiva sepoltura a Caos, in Sicilia, nel 1962. La storia, in realtà, è ancora più complessa e grottesca, ma il lavoro di Paolo Taviani è leggero e profondo e approfittando di questa storia, ci descrive un'Italia dimenticata, usando finzione filmica, in bianco e nero, spezzoni di film e vecchi filmati. Un'opera fluida e commovente, poetica nei suoi strappi paesaggistici, nella sua mancanza di rabbia, nella sua tenacia nel tenere questo nostro brutto mondo, lontano. L'appendice, dopo un'ora di film, è una rivisitazione a colori de "Il Chiodo", l'ultimo racconto scritto da Pirandello, che risulta forse un po' posticcia, ma che è comunque una ulteriore riflessione sulla vita e sulla morte e, sicuramente, sui migranti di ogni razza e colore. Un film universale in soli novanta minuti che nel frastuono dei nostri tempi, avranno visto in pochi. Male, molto male.
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