Regia di Paolo Taviani vedi scheda film
Nel 1934 Luigi Pirandello riceve il Nobel per la letteratura. Gli rimangono due anni di vita. Nel 1936, andandosene, lo scrittore lascia come sue ultime volontà un funerale modesto, la riduzione del corpo in cenere e, se possibile, tornare da Roma in Sicilia. Soltanto dieci anni più tardi, a seconda guerra mondiale conclusa e in un'Italia completamente diversa, l'urna di Pirandello comincia il suo cammino verso Agrigento. Un cammino che, per vari motivi, si conclude solamente nel 1951. All'inizio del Novecento il piccolo Bastianeddu viene sottratto alla madre, in Sicilia, per essere portato con sé dal padre negli Stati Uniti. Qui i due cominciano una nuova vita lavorando in un ristorante, ma il ragazzino – che non si è mai rassegnato a quella realtà che non gli appartiene – un giorno compie un atroce delitto, incolpando... un chiodo.
Non è tutto chiarissimo in questo primo lungometraggio scritto e diretto dal solo Paolo Taviani, e inevitabilmente dedicato alla memoria del fratello – e sodale artistico – Vittorio, da poco scomparso. Senz'altro l'età avanzata del regista e sceneggiatore, oramai nonagenario, ha contribuito all'idea di realizzare un film così cupo, disperato e in preda alla fissazione della morte; tutto gira attorno a essa, infatti, in Leonora addio, e alla figura di Luigi Pirandello. Lo scrittore siciliano firmò una novella quasi omonima (Leonora, addio!), della quale qui non v'è traccia, ma anche Il chiodo, nei suoi ultimi giorni di vita: e proprio una trasposizione per immagini de Il chiodo costituisce la mezzora finale del film. Nell'ora (tonda) precedente abbiamo visto Pirandello ricevere il Nobel, morire e, sotto forma di ceneri, venire trasportato da Roma ad Agrigento nell'arco di ben quindici anni. Qual è il nesso fra i due netti tronconi in cui è suddivisa l'opera? Perché la prima parte è girata in un drastico bianco e nero, mentre la seconda è (quasi interamente: eccettuati i flashback sull'isola) a colori? Probabilmente Paolo Taviani sta giocando con la memoria e con il tempo, cercando di rappresentare l'inevitabile – la morte, appunto – come una tragica e imperscrutabile farsa (la scena del 'nano', l'idea del chiodo caduto 'di proposito') o tutt'al più una seccatura, e l'assenza (ed ecco che entra in gioco anche Vittorio, così come la madre di Bastianeddu) come un perpetuo richiamo alla presenza. Se è terribile affrontare la fine, insomma, è comunque insostenibile portare avanti un'esistenza priva di memoria, priva di spensieratezza, priva degli affetti quotidiani che ci rendono esattamente chi siamo. Paolo Taviani, pur omaggiando grandiosamente il fratello e legandosi con questo titolo ancor di più a lui, rimane però Paolo Taviani: un grande cineasta. Ciò non può bastare a dissolvere le perplessità in merito alla fruibilità del lavoro per il grande pubblico, ma a valutare Leonora addio come una delle ultime pellicole d'Autore (maiuscola d'obbligo) del cinema italiano, sì. Interpreti principali: Fabrizio Ferracane, Claudio Bigagli, Matteo Pittirutti, Roberto Disma; la voce di Pirandello è di Roberto Herlitzka. 6/10.
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