Regia di Paolo Taviani vedi scheda film
LA VITA E LA MORTE COME UN TEATRO
Pirandello non potendola “vivere” immagina la morte scrivendone le ultime disposizioni testamentarie. Un funerale senza solennità, nella nudità di una cassa di legno per poi incenerire il corpo e poter infine depositare le ceneri nella pietra viva della campagna della nativa Agrigento. Disposizioni spiazzanti per un film spiazzante che parte propria da questo funerale non funerale, al suo tormentato viaggio nel tempo. Taviani torna a Pirandello ma senza questa volta il fratello Vittorio, recentemente scomparso. Un film omaggio a questo fratello con cui il film era maturato già subito dopo Kaos, un fratello la cui assenza è presente nel senso della morte e di un lutto da elaborare, e un omaggio allo stesso Pirandello la cui vita è stata solo e sempre Teatro.
Un film in due parti non unitario ma non separabile, uno in un bianco e nero, con spezzoni di cinema del neorealismo, e l'altra di un colore trafiggente come un chiodo. E Il chiodo”è proprio il titolo dell'ultima novella scritta da Pirandello, che permette al regista un breve racconto a colori di un bambino costretto a lasciare la sua terra per l'America, dove non saprà, dopo un gesto assurdo, reinventarsi un futuro. Tutto nella circolarità pirandelliana di vita e morte, verità e finzione, assurdità e mistero. Grande prova registica per Paolo Taviani, quasi un personale testamento, e nella parte finale forse un apologo per il nostro tempo, orfano di un futuro.
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