Regia di Marcel Barrena vedi scheda film
Ho lavorato e condiviso gran parte del mio tempo, per parecchi anni, con migranti, richiedenti asilo e rifugiati politici e ho ascoltato le loro storie, quella del viaggio era una delle più importanti. In Italia il loro punto di arrivo era quasi sempre Lampedusa. Ho conosciuto molto bene tutto il percorso che li aspettava dopo, una volta sbarcati. In Mediterraneo possiamo vedere quello che accade prima, non in Italia ma in Grecia, il discorso, comunque, non cambia. Che un gruppo di soccorritori spagnoli ci metta l’anima e il cuore per salvare delle vite umane non può fare altro che toccarci intimamente, perché vorremmo che quella legge del mare, quella che impedisce di lasciare morire un nostro simile fosse una legge universale e purtroppo non lo è.
Il traffico di migranti e poi l’accoglienza, in Italia, non è stata altro che un business. In cui erano i profitti, prima di tutto, ad avere importanza. Ci sono stato dentro a questo meccanismo e me ne sono andato prima che mi schiacciasse. Tante volte, pensando a come raccontare filmicamente la storia dell’arrivo di una delle migliaia di persone che abbiamo incontrato, basandoci anche sui loro ricordi, io e un mio collega ci chiedevamo quale fosse la maniera migliore. Ed eravamo arrivati al punto di pensare che non fosse quella di narrare un dramma in maniera tragica. Perché così si finiva per negare a queste persone la gioia di vivere, quella che esse portavano con sé, anche nelle situazioni più disperate. La trasposizione cinematografica della nascita di Open Arms, per me, non aggiunge nulla a quanto già sappiamo. Che il buon cuore di pochi si scontri contro l’ostilità e la stupidità dei molti è cosa nota e risaputa. Che aiutare chi è in bisogno ti faccia sentire una persona migliore è indubbiamente vero. Ed è su questo punto che il film mostra un dettaglio forse insignificante ma, per ci scrive, molto importante. Oscar è un ex alcolista e lo si nota anche dal fatto che si rifiuti sempre di bere con gli altri. E’ un soggetto a rischio dipendenza. E allora il transfert avviene con i corpi in mare, il desiderio di salvare diventa per lui non solo una nuova forma di appagamento personale, ma anche il rischio di sviluppare una nuova dipendenza. Non si possono salvare tutti. E’ impossibile. Questo non significa che uno se ne debba fregare ma mi sembra essenziale capire che l’aiuto dato agli altri, a lungo andare può trasformarsi in un sacrificio se non si pone una distanza di sicurezza fra la propria vita e quella di chi ha bisogno. Una distanza che non sia disinteresse, quanto amor proprio. Durante un salvataggio la persona più importante sei tu, dice Oscar a la figlia. Mediterraneo è un film che arriva al cuore dello spettatore troppo facilmente, perché già sappiamo che tutti i componenti della squadra di salvataggio sono nel giusto. E allora questo dettaglio oscuro del passato del protagonista è l’unico elemento che apre la possibilità di un’altra visione, di chi lotta con le proprie difficoltà interiori per arrivare agli altri con le sue debolezze, perché quel lato oscuro che ci portiamo dentro si trasformi da un gesto di autodistruzione in uno di altruismo. A braccia aperte, per l’appunto.
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