Regia di Laurent Cantet vedi scheda film
La nouvelle vague ha infranto la patina estetizzante del cinema per mettere a nudo il confuso brulichio della vita; ed è a questo che Laurent Cantet attinge per trasformare la realtà in arte, dandole quel fresco respiro di attualità con cui le vicende quotidiane, l’ambiente circostante, le persone vicine ci alitano in faccia l’odore vivido ed acerbo del presente. I giochi appaiono complessi perché alcuni sono in fieri, altri in itinere, ed i diversi punti di vista smerigliano il quadro della situazione come le sfaccettature di un diamante. Alle varie immagini che ognuno di noi proietta intorno a sé, corrispondono altrettanti ruoli: così il giovane Franck Verdeau, studente di economia e stagista presso la fabbrica dove lavorano il padre e la sorella, si ritrova ad essere contemporaneamente il figlio prediletto dei suoi orgogliosi genitori, l’ultimo arrivato in un contesto dove tutti hanno più esperienza, l’ideale modello di giovane rampante e promettente per il direttore dell’azienda, il solito “servo” dei padroni agli occhi dei sindacalisti, il classico tipo snob ed arrivista per i suoi amici di una volta. È quanto mai difficile prendere posizione quando si sa come si è visti, ma non si sa chi si è: è questo il caso di chi nasce in un ceto sociale, e cresce in un altro, ritrovandosi alienato dalle proprie radici, impegnato in ufficio a studiare raffinate strategie di gestione del personale, mentre il padre, nel capannone accanto, da più di trent’anni, sgobba come un mulo alla catena di montaggio. Cultura, ambizioni, principi ed affetti entrano in un pesante conflitto quando Franck si ritrova, suo malgrado, corresponsabile dell’imminente licenziamento del vecchio Verdeau che, a cinque anni dalla pensione, finirebbe letteralmente in mezzo a una strada. La lotta senza quartiere che egli, in aperta opposizione ai suoi datori di lavoro, decide allora di intraprendere, è una scelta di campo radicale, che butta all’aria i suoi progetti professionali, e prelude, inevitabilmente, ad un definitivo abbandono della scena. Lo spirito della nouvelle vague, del resto, prevede proprio questo; rinnegare la logica, spezzare la linearità, violare la coerenza, distruggendo per creare daccapo, ma senza un disegno prestabilito. Le risorse umane del titolo del film sono una precisa allusione all’asciutta programmazione funzionale che dimentica l’essenza dell’uomo, la sua individualità che non si lascia ridurre ad una pedina sullo scacchiere della produzione industriale, che si rivolta contro gli schemi aventi finalità estranee alla sua esistenza ed incuranti della sua dignità. Questa ribellione ripropone, sul piano sociale, quella dei personaggi che non vogliono più sottostare ai canoni di una trama narrativa preposta a definire un genere, a rendere una commedia distinguibile da una tragedia. Nasce così l’idea di un modo di raccontare che proviene da dentro la storia, ed è, più che altro, un raccontarsi da parte di coloro che vi partecipano, e dà vita a quella nuova forma di espressione cinematografica che è una cronaca drammatizzata della verità.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta