Regia di Sam Mendes vedi scheda film
Adesso che ho l’età di Lester, American Beauty mi sembra di una dolce e toccante e malinconica banalità. Il film rimane lo stesso, certo, esteticamente bello&accattivante ma la mia maniera di percepirlo e sentirlo no. Quello che quando avevo vent’anni mi aveva colpito così profondamente, la ricerca della bellezza, la sua palpitante presenza intorno a noi anche quando perdiamo la capacità di vederla, la ribellione ad una società materialistica, adesso si è trasformato nella sua pallida e puerile rappresentazione. Il tentativo di rivolta di quasi tutti i personaggi della pellicola è vacuità travestita da illuminazione, è filosofia da fastfood spirituale, è consumismo artistico (di corpi, di affetti, di legami familiari) che alimenta quello esistenziale dal quale ci si vorrebbe liberare. Fa pena vedere Lester (non fraintendetemi, Kevin Spacey resta un grande) riappropriarsi della propria vita attraverso un’altra serie di edonistiche illusioni (il desiderio per un corpo adolescente, le canne, i muscoli, la macchina nuova, il lavoro senza responsabilità) che gli stamperà pure un sorriso sulla faccia nel prevedibile finale (con annessa carrellata orizzontale dei momenti salienti della propria esistenza, anch’essi puramente decorativi) ma non lo salverà dal fallimento di una vuota e sterile presa di coscienza - Fa quasi tenerezza il satori fasullo di una busta di plastica che danza nel vuoto, filmata dal giovane Ricky Fitts, maschera introspettiva di un’adolescenza lontana dall’esibizionismo della sua coetanea Angela, che vive, nella propria stanza, tra decine di videocassette, bustine (nascoste) di erba da vendere e la presenza di un padre frocio, omofobo e militare che ha sempre dovuto celare la sua vera natura in nome dei principi dell’Autorità. E la figlia di Lester si innamorerà di Ricky o almeno ne sarà attratta, condividendo con lui la medesima marginalità, affinché tutti i tasselli della sceneggiatura (scritta da Alan Ball) si incastrino alla perfezione, che diventa dunque il limite stesso del film. La moglie di Lester si fa fottere dal re degli agenti immobiliari e a lui non gliene importa niente e così distruggiamo anche il matrimonio e i giochi borghesi del tradimento e cosa rimane allora di questa società consumistica sull’orlo della propria disgregazione? La bellezza di un tentativo narrativo, nel quale ci sia una possibilità di essere diversi (o semplicemente sé stessi) laddove in tanti decidono di omologarsi e basta. In questa ambiguità sostanziale American Beauty è uno specchio fedele e ammaliante, ci manda un’immagina innocua, un riflesso di quello che la vita di molti finisce per essere e al di là dello specchio, purtroppo, non sembra esserci nulla per il quale valga veramente la pena vivere.
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