Regia di Sam Mendes vedi scheda film
Un grande film sulla bellezza e la felicità.
La recensione che segue la trovate anche sul mio blog.
Correva l’anno 1999. Il mondo si trovava sulla soglia del nuovo millennio, ma era già nel mezzo di un’epoca travagliata, di grossi cambiamenti e traumi collettivi. Ad accompagnare gli spettatori di tutto il globo terrestre, usciva nelle sale American Beauty, pellicola che narra la crisi di mezz’età di un impiegato, specchio del padre di famiglia medio dell’America contemporanea. Ad oltre vent'anni di distanza, l’opera che ha reso celebre il talento di Sam Mendes si conferma tutt’oggi attuale, vista la società sempre più veloce, tecnologica e, in un certo senso, disumanizzante nella quale viviamo; una splendida commedia nera sull'uomo occidentale, sulla sua incapacità di godersi appieno la vita e coglierne la bellezza.
Mendes dirige gli attori con sicurezza, guidando le loro interpretazioni sulla linea sottile che divide farsa e tragedia. La sua regia gioca con il rapporto tra gli spazi e i personaggi (le scene delle cene in famiglia sono palesi citazioni al Quarto potere di Welles), mentre il montaggio, sfociando talvolta nella "evidenziazione" ejzenstejniana (vedasi montaggio delle attrazioni), ricrea un'atmosfera conturbante, bene in contrasto con la ridicola banalità del quotidiano o la grottesca deriva che prendono le vite dei protagonisti.
L'intero cast è strepitoso nel dare corpo e voce all’inattaccabile sceneggiatura di Alan Ball: pregna di dialoghi brillanti, in grado di costruire personaggi variegati e complessi in modo coerente e, infine, precisa nell'affrontare il corposo sottotesto che si porta appresso. American Beauty, infatti, non è solo la storia di un uomo che cerca di dare una svolta alla propria vita fallimentare. American Beauty racconta il lato oscuro del mondo occidentale, tanto liberalizzato da essere diventato, ormai, ipersessualizzato, ma al tempo stesso difficile da affrontare per l'uomo insoddisfatto del proprio matrimonio, per l'adolescente che spera di avere i seni perfetti, per il gay che non riesce ad accettarsi.
Eppure, la genialità dello script di Ball non si limita alla sua capacità critica, nell'aver donato al mondo un perfetto affresco di vite alla deriva, ingannate dall'impressione di felicità data dalla società materialista; quando vengono finalmente svelati i giovani seni della seducente Angela (Mena Suvari), Lester Burnham (un Kevin Spacey spaziale) capisce: la bellezza non è l'apparenza della giovane seduttrice o del divano da quattromila dollari, bensì l'innocenza e la fragilità dell'essere umani, troppo spesso sacrificati agli idoli dell’estetica.
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