Regia di Sam Mendes vedi scheda film
La precarietà dell'esistenza non consente distrazioni. E' un film con una tesi ed una morale estremamente lucide ed inequivocabili, antiamericano (anti-sogno americano) già dal titolo, ironico e beffardo fino al midollo. L'ironia della morte nel momento più felice della vita del protagonista si contrappone a quella del disperato fallimento sentimentale e sul lavoro di sua moglie, donna votata al risultato e per questo, nel suo inguaribile ottimismo, perennemente insoddisfatta. Quando poi il discorso cade sulla bellezza (l'altra metà del titolo) si soffre un po': di tanto in tanto la forzata ricerca espressiva trascende nella vacua dialettica del banale, del poetico-filosofico ad ogni costo (una busta che svolazza come rappresentazione concreta della bellezza - cioè del senso della vita?), che rischia di rovinare il significato stesso del lavoro. Eppure il discorso è tanto ampio da poter evitare di preoccuparsi per queste piccolezze, per queste velleità retoriche; e d'altronde la questione esistenziale non è certo materia facile (e nemmeno poco ambiziosa!) da sviluppare. Eccellente la colonna sonora, Spacey superbo.
Lester ha 42 anni e vive una vita che non è più quella che voleva, deterioratasi giorno per giorno senza che lui se ne accorgesse: il lavoro non va, la moglie lo tradisce, la figlia adolescente lo rifiuta. E allora tanto vale licenziarsi, fregarsene della moglie, lasciare che la figlia viva come meglio crede la sua gioventù. Ma il sistema, se provocato all'eccesso, collassa...
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