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Il mistero di Sleepy Hollow

Regia di Tim Burton vedi scheda film

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La recensione su Il mistero di Sleepy Hollow

di FilmTv Rivista
8 stelle

Brividi. Brividi come quelli che si provavano da ragazzini davanti ai film della Hammer, tra carrozze che corrono nella notte, nella foresta scheletrita e frusciante, tra l’ululato di un lupo e l’improvviso silenzio degli uccelli; ed ecco l’irruzione del mostro, del fantasma o, come qui, di un cavaliere senza testa che, al galoppo, recide le teste dei viaggiatori per portarle con sé nel fondo del suo inferno. Contro una testa rubata da una tomba, tante teste recise di fresco. È su questo mistero che, dalla New York City del 1799, viene inviato a indagare nel villaggio di Sleepy Hollow Ichabod Crane, giovane poliziotto votato alla ragione, che gli ha permesso di rimuovere dalla memoria un episodio atroce della sua infanzia, quando la mamma fu accusata dal padre di stregoneria, rinchiusa in una vergine di Norimberga, e ritrovata morta dal piccolo Ichabod. Su questa leggenda, Tim Burton costruisce il suo horror lugubre e ironico (Ichabod reagisce alle apparizioni soprannaturali con il terrore e lo svenimento), virato ai colori scuri e bluastri della notte e illuminato da schizzi, rivoli, fiumi di sangue rosso e denso. Un horror che segue passo passo l’iconografia, i volti, gli scarti narrativi della Hammer, come se il “gotico americano” delle case lunghe e strette, delle parrucche, dei campi di mais, della stessa fisionomia del protagonista, fosse stato passato al filtro della stilizzazione sensuale e sontuosa della compagnia inglese. Ricordi del “Dracula” di Coppola (soprattutto nell’inseguimento finale), e il ricordo di un film che appartiene agli stessi anni e alla stessa tradizione della Hammer, “Il grande inquisitore” di Michael Reeves, dove il paesaggio assolveva a una funzione “stregata”, viveva del Male del suo protagonista. E, su tutto, il senso fiabesco di Burton, che sa scherzare con i suoi incubi e, contemporaneamente, sa costruire scene da brivido, come quella in cui, per la prima volta, il cavaliere esce dalle viscere della terra attraverso il tronco dell’albero che si è radicato sulla sua tomba.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 7 del 2000

Autore: Emanuela Martini

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