Regia di David Fincher vedi scheda film
Irriverente. Provocatorio. Volutamente sopra le righe ed oltre la moralità. Herman J. Mankiewicz, giornalista, critico teatrale e sceneggiatore, noto principalmente per la scrittura di dialoghi irriverenti in brillanti commedie, raggiunge l'apice della sua carriera quando Orson Welles lo ingaggia per scrivere Quarto Potere e gli consente di vincere il suo unico Oscar.
David Fincher incentra la sua pellicola sul periodo in cui Mankiewicz , detto Mank, redige la sceneggiatura di quello che verrà definito il suo capolavoro, intervallandolo con flshback che raccontano il discendete percorso di vita di un uomo incapace di sottostare alle regole imposte da una società benestante colma di apparenza e perbenismo.
Fincher crea un'opera quasi perfetta che riprende le caratteristiche dei film di quell'epoca, a partire dalla fotografia, un bianco e nero netto e senza sbavature, arricchito da dettagli particolari che finiscono per essere il fiore all'occhiello dell'intero film: le bruciature di pellicola, lo sfumarsi dell'immagine tra un un'inquadratura e l'altra, la descrizione della scena battuta a macchina (che richiama i copioni di film).
Gary Oldman è un Mank perfetto. Si plasma nel volto e nei gesti dello sceneggiatore e ne ricalca vizi e virtù. Capace di distribuire la sua bravura per tutta la non breve (il film dura più di due ore) durata della pellicola i cui titoli di testa riportano alle pellicole di Hitchcock, in un omaggio quasi commovente.
L'ultimo film di David Fincher è brillante, vive di luce propria pur senza l'uso del colore, si avvale di un attore che eccelle diventando narratore della sua epopea di vita, attraverso una prospettiva disillusa del mondo dorato di Hollywood, mostrandoci il peggio e facendoci capire che non è tutto oro quello che luccica, dopotutto.
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