Regia di David Fincher vedi scheda film
Biopic sullo sceneggiatore di Quarto Potere, sposa la tesi che Welles non abbia scritto neanche una parola dello script. Film di grande eleganza e cura formale, ma di scarsa emozione, è difficile da seguire per chi non è approfondito conoscitore della storia di Hollywood negli anni '30.
David Fincher realizza grazie a Netflix il progetto a lungo covato sull'opera dello dello sceneggiatore Herman J. Mankiewicz, autore dello script del capolavoro diretto da Orson Welles, Citizen Kane/Quarto Potere. Fincher segue la teoria secondo cui, sebbene il credit spetti sia a Welles che a Mankiewicz, quest'ultimo sia stato in realtà l'unico autore. Egli avrebbe scritto la sceneggiatura in una casetta nel deserto del Mojave, bloccato a letto con la gamba rotta in seguito ad un incidente stradale, pressato da un assillante Welles e tormentato dalla sua dipendenza dall'alcool. Alla fine dovrà addirittura litigare con Welles perché il suo nome non venga completamente omesso dai credits, e condividerà con il regista l'Oscar alla sceneggiatura che nessuno dei due si presenterà a ritirare.
La redazione di Quarto Potere è intervallata da flashback (annunciati come tali da una scritta in sovraimpressione!) sull'ascesa di Mankiewicz nella Hollywood degli anni 30, muovendosi tra personaggi quali i moghul delle major hollywoodiane David O. Selznick, Louis B. Mayer e Irving Thalberg, il tycoon della carta stampata William Randolph Hearst (che ispirò il Kane del film) e la sua amante, l'attrice Marion Davis. Mankiewicz viene anche coinvolto in una campagna politica contro lo scrittore Upton Sinclair, che si era candidato a governatore della California.
Il film è girato con grande eleganza da Fincher in un fulgido bianco e nero (perfetto per ricreare l'atmosfera cinematografica del tempo) e vanta l'ennesima prova maiuscola di Gary Oldman (il resto del cast onestamente non né alla sua altezza).
Tutto ben fatto, ben curato e ben girato, per carità, ma il rischio a cui non sfugge è quello del manierismo, della ricerca di perfezione stilistica a scapito dell'emozione, che sinceramente latita.
Un limite di Mank può (ironia della sorte!) essere proprio lo script, che sfoggia battute brillanti, ma risulta anche contorto e difficile da seguire per chi non conosce approfonditamente la storia della Hollywood di quel periodo dorato, che Fincher omaggia dando per scontato che lo spettatore lo conosca nei dettagli. Devo ammettere che mi sono sovente perso tra i flashback, i dialoghi fittissimi ed i vari personaggi che fanno irruzione senza troppe spiegazioni ed introduzioni, per cui consiglio caldamente di rivedere Quarto Potere e ripassare la storia degli studios prima di affrontare la visione di Mank, così da evitare di perdere e apprezzare riferimenti che inevitabilmente sfuggono allo spettatore non esperto.
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