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Mank

Regia di David Fincher vedi scheda film

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La recensione su Mank

di steno79
7 stelle

Opera tutto sommato inedita nella filmografia di Fincher, "Mank" è un omaggio cinefilo a una figura oggi poco conosciuta e alquanto rimossa, il brillante sceneggiatore Herman J. Mankiewicz, fratello maggiore del regista Joseph L., che fu l'ideatore dello script del mitico "Citizen Kane", per cui non avrebbe dovuto ricevere il credito nei titoli per motivi contrattuali, e sulla cui vicenda sono stati scritti perfino libri come quello famoso di Pauline Kael, che sostiene appunto che la sceneggiatura sia dovuta a Mank e non anche allo stesso Orson Welles. Girato per Netflix in un bianco e nero giustamente premiato con l'Oscar, "Mank" è basato su una sceneggiatura del padre del regista, Jack Fincher, che era rimasta per anni in una scrivania e che appare sotto alcuni aspetti un po' antiquata, soprattutto per quanto riguarda i dialoghi, spesso fin troppo abbondanti e stancanti per l'attenzione dello spettatore; il film è girato con notevole cura filologica nella ricostruzione ambientale e dà un ritratto per certi versi controverso della Hollywood di allora, dove a dominare erano i capi delle Majors come Louis B. Mayer e Irving Thalberg, mentre lo scrittore socialista Upton Sinclair fu sconfitto alle elezioni per la carica di governatore della California nel 1934. Il film scorre su un ritmo non sempre agilissimo e forse eccede un po' nei flashback esplicativi (anche questo un omaggio a "Quarto potere"?), ma Fincher riesce in ogni caso a dare un ritratto molto partecipe di questo intellettuale americano di origine europea, delle sue frequentazioni con registi e produttori in un periodo di svolta per Hollywood, e in questo è ovviamente supportato da una notevole interpretazione di Gary Oldman, anche qui in una prova maiuscola che ha sfiorato l'Oscar. Probabilmente meno ispirato rispetto alle sue migliori riuscite come "Seven" o "The social network" o il più recente "Gone girl", "Mank" vuole essere un nuovo esemplare di "cinema di parola" che probabilmente guarda anche alla lezione del cinema di Mankiewicz, fratello di Herman, ma ci sono alcune scene, soprattutto il ricevimento al palazzo San Simeon di Hearst posto verso la metà del film, in cui il continuo profluvio verbale raggiunge la saturazione e depotenzia le scelte visive, sempre molto adeguate alla materia trattata e gestire con la consueta intelligenza da Fincher. Oltre al citato Oldman si apprezza soprattutto Amanda Seyfried nel ruolo di Marion Davies, a cui conferisce un rilievo molto umano e interessante, mentre la figura di Welles rimane molto sullo sfondo ed è trattata in maniera piuttosto sbrigativa come il Wonder Boy che in questo caso pretende da Mank il rispetto di un contratto capestro che gli farebbe poco onore. Un film che Fincher ha girato forse soprattutto per sdebitarsi nei confronti del padre, una ricognizione in un passato di una Hollywood che, per allontanare lo spettro della Grande Depressione, dedicava la propria missione ad un intrattenimento meno politicizzato e socialmente schierato di quello che avrebbe desiderato Mank, la cui rivalsa nei confronti di Hearst ha il chiaro segno di una rivolta contro un titanismo ormai dimentico dei valori di solidarietà, come indicato in maniera un po' didascalica nella scena vagamente onirica in cui Mank racconta la sua versione di Don Chisciotte. Nel complesso parzialmente riuscito, ma non certo da buttare questo è ovvio.

Voto 7/10

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