Regia di David Fincher vedi scheda film
NEI CINEMA ITALIANI DAL 26/04/2021
VISTO SU NETFLIX
A Hollywood c’è un uomo che incanta quando parla e quando scrive. Incanta chi lo ammira e lo ama e, seppure a malincuore, incanta chi lo teme e quindi lo odia, per la sua capacità di andare al cuore delle più fangose circostanze della società americana tra gli anni Trenta e Quaranta dello scorso secolo. Gli anni in cui i ridicoli baffetti di Adolf Hitler facevano ancora sorridere sia gli allocchi sia gli opportunisti, con una generale indulgenza di gran parte dell’opinione pubblica nei confronti di colui che avrebbe segnato a morte la storia del Novecento.
Il cinquantanovenne David Fincher torna al cinema tout court a cinque anni dall’apprezzata esperienza documentaristica da interprete nei panni di se stesso in Hitchcock/Truffaut (2015) e dopo l’incerto, a mio avviso, Gone Girl - L'amore bugiardo (2014). Con questo Mank (2020) il regista di capolavori quali Seven (1995) e Fight Club (1999) fa decisamente centro, soprattutto per la nitidezza con cui riesce a regalare allo spettatore la complessa personalità del giornalista e sceneggiatore premio Oscar, Herman J. Mankiewicz.
Fincher, per la prima volta nella sua ormai lunga carriera, fa ricorso al bianco e nero per calare senza indugio il pubblico nelle atmosfere della Hollywood di quel tempo e tessere un filo diretto con Quarto potere, il mitico film del 1941 girato da Orson Welles, pellicola che sulla bellezza di nove candidature, vinse una sola statuetta dell’Academy Award, proprio quella per la migliore sceneggiatura originale. Un testo sulla cui faticosa stesura e sulla cui autentica paternità è incentrato Mank.
Dopo aver dimostrato la propria adattabilità all’interpretazione di personaggi storici (un Churchill da Oscar per L’ora più buia nel 2018), un istrionico Gary Oldman raddoppia e si cala con disinvoltura nei panni di un anziano, disilluso, logorroico e ubriacone Mankiewicz e aggancia l’attenzione di chi guarda con un personaggio che sembra poter far saltare il banco da un momento all’altro in ogni situazione. Gli altri attori, seppur ammirevoli, vicino allo straripante interprete londinese risultano al massimo dei comprimari, con una nota di merito da vergare a favore di una biondissima Amanda Seyfried (qui, a 34 anni, forse alla sua prova più convincente), che personifica Marion Davies, attrice statunitense che conobbe il suo periodo di maggior splendore a Hollywood proprio negli anni Venti/Trenta.
Un film che, oltre a far rivivere in modo convincente le atmosfere della Los Angeles cinematografara della prima metà del Novecento, ci ricorda anche quale misto di potere e condanna personale sia insito nel talento della scrittura.
Consigliato soprattutto agli amanti del genere biografico e della storia del grande cinema. Voto 8,2.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta