Regia di Valérie Lemercier vedi scheda film
FESTIVAL DI CANNES 74 - FUORI CONCORSO/CINEMA OLTRECONFINE
Con Aline impariamo che si può fare un biopic anche senza il consenso dell'interessato.
E si può fare anche restando discreti e raccontando una storia plausibile che nell'immaginario collettivo, restituisca un ritratto sincero e corretto dell'artista preso in esame. Che certamente, o almeno probabilmente, poco avrebbe in cuore suo da ridire all'immagine accorata del suo clone che dal film ne scaturisce.
Valerie Lemercier, attrice e commediante brillante e dal fisico sinuoso, notissima in Francia, quasi sconosciuta dalle nostre parti, che ricorda davvero esteticamente il portamento affusolato e ben coltivato e gestito di Céline Dion, si adopera animo e corpo in veste di regista, sceneggiatrice e soprattutto interprete, a raccontarci le tappe salienti che hanno portato ai vertici una sua probabile ed eventuale alternativa: Aline Dieu.
Ultimogenita di ben quattordici figli in capo a due coniugi canadesi di rango popolare, semplici, religiosi ed appassionati di musica leggera, Aline si mette in mostra sugli altri fratelli e sorelle per le spiccate doti canore che la rendono l'usignolo di casa.
Certo il fisico è quello che è: snello ma tutt'altro che attraente. Ma quando c'è il talento e una certa presenza scenica, belli ed attraenti li si può anche diventare coltivandosi e perfezionandosi con caparbietà.
Guidata da una madre risoluta, ma soprattutto da un manager che, nonostante l'età avanzata, diventerà il suo compagno ed unico vero amore di vita (per tacere di una madre risolutamente contraria), Aline brucia le tappe e, con una metamorfosi anche fisica che c'è la restituisce farfalla dopo una adolescenza da bruco, scala le vette del successo planetario che dal freddo Quebec la proietta sui palcoscenici mondiali più esclusivi, in particolare in quel di Las Vegas, come uno dei fenomeni pop più effervescenti degli anni '80 e '90, trovando l'apice della fama con l'amata/odiata canzone di punta del film di maggior successo cinematografico del 900, ovvero Titanic di James Cameron, ovvero My heart will go on.
La Lemercier ci mette anima e corpo, e non si può fare a meno di riconoscerle un impegno totale e forsennato che, agevolato dalla sua connaturata verve mimica e da un fisico aerobico che la accomuna molto all'artista in questione, le permette di fornirci un ritratto possibile e credibile della star, annoverandosi anche il merito è la delicatezza di non volersi mai addentrare in inutili particolari e dettagli morbosi, attenendosi alle notizie appannaggio della cronaca, e dimostrando che si può anche, dedicare un omaggio biografico ad una star amata, anche senza richiederne, od ottenerne ufficialmente, l'autorizzazione, ma rielaborandone una storia che ne ripercorra le tappe con una cosciente e delicata fedeltà di sintesi.
Certo il biopic, pur con le sue lodevoli intenzioni e risultati, appare anche tecnicamente un po' semplice e televisivo, e al tempo stesso un po' megalomane nel voler l'autrice impadronirsi di ogni istante di vita del personaggio, perfino quando occorre rappresentarla in età pre-adolescenziale, ridisegnando i tratti facciali della giovane attrice chiamata a prestare il corpo, ma non il volto, sostituito con l'inconfondibile sguardo furbetto e vispo di una Lemercier aggiunta con l'utilizzo un po' barocco di effetti speciali dal discutibile risultato finale. Ma questo aspetto, più che un vero difetto, è probabilmente anche un modo per rimarcare l'atteggiamento di devozione della autrice ed attrice, che non si risparmia per dare vita e carattere alla sua star del cuore, rappresentandone un clone di una dimensione parallela totalmente credibile ed accettabile.
Il titolo italiano scelto per il film - The power of love - è un'altra dimostrazione della balordaggine nelle scelte a cura di titolisti in cerca unicamente di facili appigli che non rispettano le dinamiche creative e narrative di chi ha concepito e creato l'opera in questione.
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