Regia di Francesco Barilli vedi scheda film
Esordio e in assoluto miglior regia di Francesco Barilli, suggestionato dalla precedente attività come sceneggiatore, coinvolto da Lenzi, ne Il paese del sesso selvaggio (1972). Cast brillante e fotografia esemplare, per un thriller psicologico diventato, con il passare degli anni, un cult.
Roma. Silvia (Mimsy Farmer) si è lasciata alle spalle un tormentato passato che l'ha vista - da bambina - essere responsabile della morte della madre. Si dedica con convinzione e a tempo pieno alla sua attività, che la vede impegnata in un laboratorio di chimica. Con Roberto (Maurizio Bonuglia) ha una solida relazione affettiva e, con i condomini del palazzo in cui vive, socievoli rapporti. Durante una cena a casa di amici, Silvia rimane impressionata da un discorso tenuto da un sociologo, il professor Andy (Jho Jhenkins), relativo alle messe nere e a riti pagani, forse ancora oggi praticati in Africa. Questa particolare circostanza, in maniera inconscia, riporta alla sua memoria frammenti del tragico incidente infantile: in particolare sfumati ricordi della madre, vestita di nero. Allo stesso tempo, Silvia inzia a maturare sospetti nei confronti di tutti, anche dei vicini che ai suoi occhi sembrano tenere comportamenti sempre più ambigui.
Sviluppando in maniera del tutto personale suggestioni in arrivo da Polanski, in particolar modo da Rosemary's baby (1968), Francesco Barilli debutta in regia con un horror dalle atmosfere sottese e dilatate, che resta impresso per una svolta finale del tutto inattesa. Proprio quella svolta è il risultato della precedente attività di Barilli in veste di sceneggiatore. Un paio di anni prima, all'opera sui testi de Il paese del sesso selvaggio (Umberto Lenzi, 1972), Barilli resta suggestionato dal tema del cannibalismo. Tanto che pochi mesi dopo la realizzazione del film decide di visitare il Congo, studiando da vicino i primitivi e i loro riti tribali. In quell'occasione inzia a pensare di passare dietro la macchina da presa per realizzare un film tematico, che possa sfruttare l'antropofagia come metafora da inserire in un contesto sostanzialmente impegnato: i cannibali, in questa primordiale idea, sono uomini d'affari e politici. Un'idea potente e critica, dettata da convinzioni ideologiche e pulsioni da cinema impegnato. I produttori però non gradiscono e Barilli modifica il soggetto inserendo nella storia una donna nevrotica, destinata a finire al centro delle attenzioni di una setta particolare. Assieme a Massimo D'Avak, scrive così la sceneggiatura de Il profumo della signora in nero. Il budget messo a disposizione dalla produzione non è particolarmente sostanzioso ma Barilli punta a un cast d'attori di prim'ordine nel quale, oltre alla Farmer, risaltano le figure di contorno come ad esempio l'ottimo caratterista Mario Scaccia (1919 - 2011). Barilli può contare inoltre su una serie di collaboratori esperti e di alto profilo professionale: da Nicola Piovani alle musiche, alla superba cinematografia di Mario Masini. Del film infatti, risalta una fotografia particolarmente brillante, al punto che l'aspetto iconografico, dal taglio quasi pittorico, arriva a prevalere sulle pur ottime scenografie e sui costumi.
Non accolto con il dovuto rispetto al tempo dell'uscita, con il trascorrere degli anni Il profumo della signora in nero si è ritagliato una sua nicchia di affezionati ammiratori, destinata ad ampliare in numero sempre crescente. Barilli, quattro anni dopo, torna a dirigere un horror con finalità politiche, Pensione paura (1978), ottenendo esiti del tutto differenti. Deluso e un pò avvilito dal risultato, rimane coinvolto nella realizzazione di documentari, alternando l'attività di regista per film destinati al piccolo schermo con la direzione di qualche episodio di serie televisive. A sorpresa nel 2012 torna sulla scena, dirigendo e interpretando, direttamente in video, La casa nel vento dei morti: film ispirato da Non aprite quella porta (Tobe Hooper, 1974) e Ossessione (Luchino Visconti 1943), sceneggiato da Luca Magri, che guarda con occhio nostalgico anche a Pupi Avati (La casa dalle finestre che ridono, 1976). Ma purtroppo il risultato appare essere fortemente limitato dai difetti generalmente tipici dei film indipendenti: budget limitatissimo, suono in presa diretta e una prima parte decisamente fiacca, ambientata in location poco curate e forse anche improvvisate.
Curiosità
Non può sfuggire il parallelismo tra la figura di Mia Farrow in Rosemary's Baby e Mimsy Farmer nel film di Barilli. Entrambe le protagoniste sono soggette a un pericolo ch'é immanente, percepibile, sfiancante, paziente e lungimirante. Un pericolo che emerge dal quotidiano, partendo dalle persone (s)conosciute, manifestandosi cioè con i volti dei vicini di casa: quest'ultimi, assieme agli affetti più cari, assediano letteralmente sia l'una (Rosemary/Farrow) che l'altra (Silvia/Farmer).
"Nulla suscita in noi più disgusto del cannibalismo, eppure noi suscitiamo la stessa impressione sui vegetariani, perché ci nutriamo di bambini, ancorché non nostri." (Robert Louis Stevenson)
Trailer
F.P. 26/03/2021 - Versione visionata in lingua italiana (durata: 103')
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta