Regia di Francesco Barilli vedi scheda film
Silvie Hacherman (Mimsy Farmer) è la direttrice di un laboratorio di chimica che vive in un bel appartamento in un quartiere residenziale di Roma. E’ innamorata corrisposta di Roberto (Maurizio Bonuglia) ed è attorniata da una serie di persone che sembrano nutrire particolari attenzioni nei suoi confronti. Tutto sembra al punto giusto nella vita di Silvia, tranne l’evento tragico della morte delle madre (Renata Zamengo), un ricordo che ritorna dalle viscere del passato per mettere in subbuglio la sua fragile emotività e catapultarla spesso in un clima di infauste visioni.
“Il profumo della signora in nero” segna l’esordio alla regia dell’attore Francesco Barilli, un esordio convincente direi, con questo film elegantemente congegnato nella sua architettura d’insieme (grazie anche alla bella fotografia di Mario Masini) con l’obliqua geometria del palazzo a fare da principale sfondo ad una storia che ci impiega il giusto tempo prima di palesarsi in tutta la sua sostanza “orrorifica”, dove l’ambiguità di fondo che caratterizza i suoi inquilini (con particolare riferimento al signor Rossetti interpretato da Mario Scaccia) si sposa a meraviglia con lo stato di tensione latente che vi serpeggia. Il film parte piano, la sensazione che si acquista con lenta gradualità è quella di trovarci tra una ragazza ossessionata dai fantasmi di un tragico ricordo e un gruppo di persone che sembrano avere tutto l’interesse ad alimentarlo. In mezzo ci sono sguardi sospesi e mezze parole, racconti di magia nera e sedute spiritiche, macchie di sangue fresco e gocce di sangue succhiato con morbosa voluttà, visioni di una donna allo specchio ed altre in compagnia del suo amante (il “sudicio” Nicola interpretato da Orazio Orlando), voci e suoni che aleggiano nell’aria e gatti neri che gustano resti di carne umana. Tutti ingredienti che servono allo scopo di preparare l’apoteosi del male secondo un procedimento narrativo che investe più sul carattere cospirativo della storia che sulla chiara e subitanea esposizione di personalità deviate. Questo rende “Il profumo della signora in nero” un tipico film d’atmosfera (come si addice ad ogni film di genere di buona fattura), di un atmosfera “chiaramente polanskiana” dati le evidenti assonanze con “Rosmary’s Baby”(che lo precede) e “L’inquilino del terzo piano” (che verrà dopo). Ci sono analogie soprattutto col secondo a mio modesto avviso, perché se è vero che ad impossessarsi subito della storia è la sensazione che Silvia sia accerchiata da un gruppo di persone che vuole servirsi di lei e delle sua tragica vicenda per chissà quali orrendi scopi e che la cararatterizzazione della brava Mimsy Farmer tanto somiglia a quella offerta da Mia Farrow , è ancora più vero che il motore della trama sta in quell’intreccio tra realtà e sogno, tra le visioni di un tragico passato e un presente costellato di gesti di sospetta natura, che inducono chi guarda a non capire bene dove risiede l’esatta matrice del tutto. Tanto le visioni di Silvia (come quelle di Trelkovski), quanto la comparsa di una bambina tutta vestita di bianco che comincia a tenerle compagnia, si mischiano e si confondono con l’opera cospirativa di cui viene resa vittima la ragazza e questo aspetto, non solo non fa mai capire (come nel capolavoro di Roman Polanski a mio avviso) se i fantasmi sono il frutto di suoi mai sopiti rimorsi o il prodotto delle mire esoteriche di una sorta di setta satanica, ma rende anche indistinto il confine tra la realtà filmica effettivamente rappresentata e la particolare rappresentazione dei deliri ossessivi di una visionaria. Ecco, credo che questo espediente narrativo sia servito a scongiurare i rischi di una possibile deriva manierista, a porre il film ben oltre il modo convenzionale con cui al cinema viene spesso rappresentata l’ossessione che si approssima alla follia. Un film sorprendentemente affascinante, degno di ben figurare tra i “classici” del genere.
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