Regia di Peter Greenaway vedi scheda film
“I’ll bloody find them and I’ll bloody kill him! And I’ll bloody eat him! I’ll kill him and I’ll eat him!”
Albert Spica (Michael Gambon), aggressivo, logorroico e volgare boss malavitoso, è il proprietario del ristorante Le Hollandais, dove è solito recarsi per cena ogni sera con il suo gruppo di sgherri e la moglie Georgina (Helen Mirren), raffinata e sottomessa. Lo chef del ristorante è il francese Richard Boarst (Richard Bohringer), impeccabile ma deciso, tanto da porsi coraggiosamente di traverso alle angherie e allo squallore di cui Spica gli fa omaggio tutte le sere.
Mentre Spica si abbandona ad ogni genere di infantile prepotenza - spalleggiato dallo stupido tirapiedi Mitchel (Tim Roth) - sua moglie incrocia lo sguardo di un elegante sconosciuto (Alan Howard), assorto nella lettura di libri ad un tavolo singolo de Le Hollandais. I due cominciano a consumare un rapporto amoroso nel bagno delle signore, senza scambiarsi una parola. Il loro gioco, di serata in serata, si fa sempre più pericoloso e necessario per Georgina, che trova una forma di liberazione da un marito violento e disgustoso nel sesso con lo sconosciuto. Quest’ultimo rivela di chiamarsi Michael e di essere proprietario di un negozio di libri, via via che il rapporto con Georgina si intensifica. Le loro fughe d’amore dai rispettivi tavoli sono agevolati dalla complicità dello chef, che mette loro a disposizione locali improvvisati nel retro della cucina. Ma l’esplosione di violenza è dietro l’angolo…
“The Cook, the Thief, His Wife & Her Lover” , sesto lungometraggio di Peter Greenaway, è stato sufficientemente di successo da essere distribuito anche negli Stati Uniti dalla Miramax, ma ha avuto diffusione limitata a causa di una vicissitudine sul rating con la MPAA (Motion Picture Association of America): è infatti stato distribuito come unrated, in quanto la compagnia avrebbe deciso di affibbiargli un X-rated, generalmente associato a film pornografici. Nel 1990, finalmente, dietro forti proteste di molti addetti ai lavori, la MPAA ha introdotto il rating NC-17 (per soli adulti), intermedio fra il rated R negato alla Miramax e l’X-rated.
Ma è veramente un film così estremo? Beh, è forse il suo primo lavoro caldo, pulsante e piacevolmente ritmato con costanza, fino a condurre ad un finale a sfondo cannibalesco di sicuro impatto, nonché di sicuro disgusto per alcuni. Greenaway fa immergere subito in una dimensione grottesca e artificiosa, palesandola con eccessi, dialoghi inverosimili e un topos cromatico assurdo, tant’è vero che abiti, camicie, cravatte e persino sigarette dei protagonisti cambiano repentinamente colore in accordo con quello dominante degli scenari. In sala domina un rosso intenso, nelle cucine il verde, nella toilette il bianco, nel fumoso parcheggio esterno il blu. Questo ad ulteriore dimostrazione del fatto che la sua poetica cinematografica, nonostante l’esuberanza delle vicende di “The Cook, the Thief, His Wife & Her Lover”, preme sempre più sull’estetizzazione, sulla ripetizione, sul cerebralismo, sulla gratuità e sullo snobismo di alcuni motivi.
Se da un lato, dunque, è possibile notare quelle caratteristiche che hanno reso le sue opere degli anni a venire generalmente controverse e discutibili, d’altra parte questo film è ritenuto il più alto risultato del cinema di Greenaway. Infatti, si riscontrano qui notevoli vertici: per esempio, l’allestimento di una cucina improbabile, sospesa fra medievale e futuristico, allietata dai gorgheggi salmodici di un giovane lavapiatti dalla voce bianca e interamente percorsa da insistite carrellate laterali, è audio-visivamente un capolavoro. Ma a farmelo preferire anche a “A Zed and Two Noughts” è la resa recitativa: un irriconoscibile e furente Michael Gambon e l’eccellente Helen Mirren fanno davvero la differenza, contornati da un cast più composto ma di ottimo livello, fra cui si segnala un giovane Tim Roth.
A suo tempo interpretato in patria come allegoria del thatcherismo, “The Cook, the Thief, His Wife & Her Lover” è in realtà l’ennesimo film di Greenaway pressoché impenetrabile, tanti sono i livelli di lettura che si affastellano; affascinato da un certo tipo di pittura (in un’intervista ha citato “I mangiatori di patate” di Van Gogh, ma più in generale banchetti, ultime cene e nozze di Cana), ha affermato che si tratta di una composizione di persone che mangiano sedute a tavola, abbinata ad uno studio sui colori e sull’ammirazione per i drammi giacobini improntati su passione, adulterio e vendetta. Il film si garantisce così una forma di partecipazione emotiva e di orrore, grazie anche al tratteggio di un villain quantomai repellente e detestabile e di un amante gentile, sensibile e latore di cultura. Sopruso, sesso, scontro fra opposti e morte sono temi ricorrenti dell’opera greenawayana e sono qui rivisitati in chiave “fisica”, con cibo, materialismo, perversione, potere e laidezza che si esprimono senza alcuna vergogna.
Al solito, film che si ama o si odia da parte di un autore che non ha mai fatto nulla per farsi amare, né dal pubblico né dalla critica. I contributi dei suoi collaboratori Sacha Vierny e Michael Nyman, rispettivamente come direttore di fotografia e compositore dello score, sono invece inequivocabilmente da apprezzare e da riconoscere come indispensabili nel conferire l’enorme potenza di questo film, ritenuto l’apice della carriera di Greenaway.
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