Regia di Peter Greenaway vedi scheda film
Come tutti i film "estremi" anche "Il cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante" susciterà reazioni molto contrastanti nel pubblico: si tratta di un'opera che abbraccia apertamente la provocazione intellettuale, contiene alcune scene di violenza piuttosto forti e disturbanti, ma al tempo stesso è costruita con una messa in scena che si può definire geniale, geometrica e calcolatissima nell'uso del colore, delle scenografie e degli spazi del ristorante in cui è ambientata quasi tutta la vicenda. Greenaway costruisce un apologo all'insegna del grottesco e dell'umorismo nero che mette al centro le dinamiche di potere e la sottomissione dei più deboli attraverso la vicenda del criminale Albert Spica, della moglie Georgina, perennemente maltrattata e umiliata, che lo tradisce con il mite Michael, innescando la prevedibile vendetta del laido e volgarissimo Spica, fino ad un finale ancor più duro da digerire in cui la vittima diventerà carnefice. Con un occhio più a "La grande abbuffata" di Ferreri che a "Salò" di Pasolini, Greenaway mette in atto una denuncia implacabile che sicuramente mostra una diffusa misantropia, ma che non può venire accusata a ragione di compiacimento dell'orrido, come pure qualcuno ha fatto (io avrei eliminato, in ogni caso, la scena di tortura del bambino che viene costretto a mangiare bottoni). I valori formali sono elevati, la struttura teatrale è animata da lampi di mise en scene puramente cinematografici come lughe ed articolate carrellate, fotografia con dominanza cromatica differente nei diversi ambienti dovuta al mago delle luci Sacha Vierny, colonna sonora dell'altro collaboratore fisso Michael Nyman che contribuisce a sottolineare momenti di struggimento (soprattutto il monologo di Georgina davanti al cadavere) in una struttura filmica che rifiuta per partito preso il coinvolgimento emotivo. Grande interpretazione di Michael Gambon nel difficile ruolo di Spica, sempre sull'orlo dell'eccesso e dall'eloquio torrenziale, molto brava anche Helen Mirren in uno dei suoi film più autoriali e meno commerciali in cui dimostra ugualmente il suo fascino e le sue risorse drammatiche, e buoni i contributi in ruoli minori di Tim Roth e Richard Bohringer. Insomma un'opera coraggiosa, importante difficile nella visione, ma ugualmente appagante sotto il profilo intellettuale.
voto 9/10
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