Regia di Régis Wargnier vedi scheda film
La macchina da presa e l’immaginazione, composta, decorativa e tradizionale, di Régis Wargnier, sono attratte dai paesi perduti, dagli snodi esotici e inquietanti della Storia. Dopo l’Indocina degli anni ‘30, in quest’ultimo film si sposta nell’Unione Sovietica di Stalin e dei campi di lavoro, della repressione di massa e del terrore rosso, della grigia e odiosa cortina di ferro, dei carnefici e delle vittime. Nel giugno del 1946 a tutti i russi bianchi espatriati in Occidente vengono offerti un’amnistia e un passaporto per rientrare nel loro paese. Alexei, un medico, risponde all’appello della patria e porta con sé la moglie, Marie, e il figlio. L’allegria sulla nave che fa rotta verso Odessa svanisce e sfuma in un incubo. Il regime autoritario, le cantate tronfie delle orchestre militari, gli affollati e promiscui appartamenti statali, la pressione poliziesca e ideologica, la burocrazia, la voglia di fuga affidata a un giovane campione di nuoto e a un’attrice francese in tournée (una Deneuve di maniera). Sui volti di Alexei (un misurato Oleg Menchikov) e di Marie (una Sandrine Bonnaire molto brava in alcune scene-madri) il regista collauda la tenuta di un melodramma politico in un interno di famiglia.
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