Regia di Neil Jordan vedi scheda film
Film, come d’altronde il romanzo, intenso e commovente, drammatico e sofferto, ottimamente interpretato.
La vita di Graham Greene è stata ricca, vissuta intensamente e con molteplici attività, quasi tutte legate alla scrittura: scrittore, drammaturgo, sceneggiatore, autore di libri di viaggi, critico letterario e addirittura agente segreto. Nella memoria collettiva rimane però come uno dei più importanti scrittori di thriller di spionaggio o di natura politica anche se da questo cliché ne è uscito non poche volte specialmente per scrivere romanzi pervasi dal senso religioso. Infatti l’inglese Greene diventò cattolico nel 1926 e la conversione cambiò non poco il suo modo di pensare e di scrivere. La scrittura del romanzo omonimo da cui è tratto il film drammatico di Neil Jordan fu molto sofferta dallo scrittore perché autobiografico: egli infatti conobbe Catherine Walston, una signora cattolica e moglie di una influente persona, con cui ebbe una tormentata e lunga relazione e che lo portò sì alla conversione ma che lo fece soffrire intimamente per il forte senso di colpa. Non poche volte i suoi romanzi trattarono infatti le battaglie e le crisi dello spirito umano (Il potere e la gloria, Il console onorario, Il nocciolo del problema, ecc.). A quella donna che amò moltissimo riservò perfino la dedica del libro: nella edizione inglese fu timidamente “A C.” e in quella americana in maniera più aperta “A Catherine”.
Tutto ciò risalta nella versione cinematografica di Neil Jordan, tutto viene ottimamente rappresentato dalla sua attenta regia e dalla bellissima fotografia di Roger Pratt (che ebbe una nomination agli Oscar), cupa e tenebrosa proprio per esaltare i tormenti dei due protagonisti, cattolici convinti ma adulteri senza scampo. Ancora una volta l’interpretazione di Julianne Moore è strepitosa, anch’essa nominata agli Oscar, e Ralph Fiennes non le è da meno, perfetta incarnazione di un uomo combattuto tra l’amore e i sensi di colpa. Al loro fianco bravo anche uno degli attori fissi del cast dei film del regista irlandese, il quasi immancabile Stephen Rea, nei panni del marito consapevole e taciturno. Film, come d’altronde il romanzo, intenso e commovente, drammatico e sofferto, ottimamente interpretato.
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C'era già stata una precedente trasposizione in immagini (per la verità un po' goffa) del libro fatta da Edward Dmytryk nel 1955 ("La fine dell'avventura" con Deborah Kerr, Van Johnson, John Mills, Peter Cushing) indubbiamente meno efficace e riuscita di quella di Jordan a causa di un Van Johnson un po' sfuocato e poco convincente e anche per il fatto che in sede di realizzazione fu snaturato il progetto del regista che aveva immaginato (e girato) l'opera come una serie di flashback che dovevano lentamente congiungersi fra loro intersecandosi l'uno nell'altro fino a ricomporre il puzzle della storia ma che la produzione fece invece rimontare (quasi tutti) in maniera cronologica recando grave danno al risultato.
Già, vero, caro Spopola, ne ero al corrente, solo che ho evitato di parlarne perché non lo ricordo, forse perché visto nella notte dei tempi o forse perché non l'ho mai visto ma ne ho sentito parlare. Ti ringrazio ovviamente per la tua come al solito erudita precisazione.
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