Regia di Elio Petri vedi scheda film
Un facoltosissimo macellaio romano (Ugo Tognazzi) viene preso di mira da un impiegato della banca dove tiene il suo capitale (Flavio Bucci). Quest'ultimo accende una spirale di furti senza senso che fornisce fortuitamente al plutocrate l'opportunità di arricchirsi ulteriormente con i soldi dell'assicurazione.
Partito dall'idea che la proprietà, al contrario di quanto non reciti il notissimo apoftegma di Proudhon, sia effettivamente un furto, Petri redige con Ugo Pirro un copione grottesco che vorrebbe essere un apologo post-sessantottino sull'efferatezza del capitalismo, anche quando è travestito da plebe. L'operazione, caratterizzata da un'espressionismo cinematografico che sembra anacronistico, riesce però soltanto a metà, finendo presto col naufragare nel mare delle buone intenzioni e perdendo la rotta verso un racconto minimamente sensato.
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