Regia di Luciano Salce vedi scheda film
L'individuo, solo perchè abbandonato (dalla famiglia, dai colleghi di lavoro, dagli affetti), allo sbaraglio nella società contemporanea. Fatta di squali, approfittatori, facili scorciatoie moralmente inammissibili e anche qualche coraggioso che ne rinnega i 'valori' e i compromessi. Per il suo terzo film italiano da regista (ne aveva già girati due in Brasile), Salce punta in alto e lo fa con i mezzi che ha a disposizione, quelli che gli sono più congeniali, cioè quelli della commedia. Ma è una commedia davvero amara, questa La cuccagna, che ha tutti i diritti per essere inserita nel filone della commedia all’italiana: dentro c’è tutto il degrado umano, il malessere sociale di una nazione allo sbando morale, un Paese nel quale l’anima candida Rossella, diciottenne piacente e bisognosa d’aiuto, è solamente una preda – e pure facile. Nessuna pietà: ecco la chiave di questo cinema, quello dei Risi, Monicelli, Scola, di certo Comencini e di certo Germi che in quegli anni raggiunse la vetta della creatività (e un posto di eccellenza nella storia del Cinema mondiale). Nessuna pietà provata dai personaggi del film, nessuna pietà per i personaggi del film; a confermare lo spirito goliardico del regista (anche sceneggiatore, con una sfilata di nomi eccezionali al fianco: Luciano Vincenzoni, Alberto Bevilacqua, Goffredo Parise e Carlo Romano) ci sono le sue comparsate (se ne contano almeno due, come arredatore/pittore e come generale dell’esercito, nel finale, più il doppiaggio di un ballerino di cui non si vede il volto – forse sempre interpretato da lui? – nella scena della balera), oltre a quella dell’amico Ugo Tognazzi e a quella del suo portafortuna, Jimmy il Fenomeno, qui impegnato nelle vesti di un fotografo sporcaccione. È importante notare come persino Jimmy, notoriamente non molto addomesticabile davanti alla macchina da presa, qui reciti in maniera semiseria: questo particolare dà la misura del Salce direttore di attori. Qualche perplessità sul finale, a partire dall’arrangiatissima scena del bombardamento in spiaggia (logicamente pure un po’ fuori luogo, se si vuole), ma è apprezzabile l’idea di chiudere consegnando la morale del film con la bocca del coprotagonista Tenco. I momenti comici in definitiva non prevalgono su quelli riflessivi e in questo va riconosciuto un grosso sforzo da parte dell’autore e regista (nel 2011 di chi scrive ancora sottovalutatissimo); d’altronde i primi sono quasi sempre finalizzati a un abbozzo di satira sociale: il fratello omosessuale (si immagini cosa potesse suscitare un personaggio così esplicito nell’Italia del 1962!), la famiglia catatonica davanti alla tv, il ‘commenda’ trafficone magistralmente interpretato da Umberto D’Orsi. Funziona l’idea di trasformare Tenco, altro personaggio difficile a trattenere davanti a una macchina da presa in quanto proverbialmente schivo e introverso, in attore, funziona anche quella di affidare il ruolo di protagonista a una sconosciuta semiesordiente, la bellissima Donatella Turri (scartata da Fellini ne La dolce vita per la parte che poi andrà a Valeria Ciangottini). Ne La cuccagna c’è tanta Italia del 1962 – e non solo del 1962. 6,5/10.
Piacente e giovane dattilografa cerca lavoro: troverà solo proposte indecenti. Incontra anche un ragazzo affascinante, anarchico e nichilista, che la coinvolge in un tentativo di suicidio. Poi la conclusione (che tale effettivamente non è): non accontentarsi mai per non farsi fregare.
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