Regia di Luciano Salce vedi scheda film
Un film con una propria vitalità ed originalità che conferma la significativa rilevanza di Salce regista
Luciano Salce, artista assolutamente poliedrico, attore di cinema e teatro, personaggio radiofonico e televisivo oltre che regista, era ai suoi tempi considerato un cineasta commerciale, non solo lontano anni miglia da mostri sacri come Visconti, Pasolini o Antonioni, ma anche qualche gradino sotto i noti maestri della commedia come Monicelli e Risi.
Eppure Salce era un regista molto elegante, ironico ma non sguaiato, un acuto osservatore del mondo e dei costumi. Sua fu la scoperta di un giovanissimo Morricone, sua la capacità di creare un ottimo rapporto con gli attori che gli consentì nel tempo di reinventare la Vitti (fuoriuscita dal cinema di Antonioni), inspessire il talento di Tognazzi e portare sul grande schermo Villaggio e il suo Fantozzi.
Non ci si può dunque sorprendere se ne La cuccagna, dietro un’apparente costruzione narrativa basata sulla serializzazione di episodi slegati e toni grotteschi e coloriti, traspaia una profonda malinconia che scaturisce dalla costante disillusione della giovane ed appariscente protagonista, Rossella Rubinace (Donatella Turri).
La sceneggiatura del film viene scritta a quattro mani da Luciano Vincenzoni e Carlo Romano, sulla base di un racconto di Alberto Bevilacqua trascritto dal primo.
Rossella, ormai diciottenne, vive in un quartiere periferico di Roma, ancora legata alla propria famiglia allargata e medio borghese, oppressa da un padre (Enzo Petito) ottusamente severo ed un cognato (Franco Abbina) filomarxista, pedante e verbalmente incontinente. A loro si aggiungono due figure femminili decisamente amorfe, una madre indolente (Vera Drudi) e una sorella lamentosa (Livia Venturini); infine c'è il fratello Natalino (Gianni Dei), suo complice e confidente ma con un esagerato compiacimento per se stesso nella scoperta della propria identità sessuale. Siamo ai tempi del boom economico e la famiglia tutta pare quasi esclusivamente presa dallo scandire degli eventi televisivi, ipnotizzata tra la sigla di inizio delle trasmissioni e i caroselli serali.
Rossella, alla disperata ricerca di un posto di lavoro e di un’indipendenza economica, inizia un instancabile ed improduttivo peregrinare cittadino, partendo da un ufficio per dattilografe ed incontrando una serie di improbabili datori di lavoro e miserabili che la concupiscono in modo aggressivo o approfittano della sua bellezza.
Spiccano tra gli altri un cummenda vanaglorioso, il dottor Giuseppe Visonà (Umberto d’Orsi), incapace di portare a termine ogni suo vaneggiante progetto industriale, l’unico però che non cerca di approfittare fisicamente di Rossella e la apprezza per “occhio vivo, fronte alta, presenza, dignità”; il professor Tenenti (Jean Rougeul, il Carini di 8 1/2) dall’alito pestifero che fa svenire le povere dattilografe; il creatore pubblicitario (Consalvo Dell'Arti) che tenta di portare Rossella a letto come se fosse una tipa facile; l’industriale nordico secondo il quale “l’Italia ce la siamo fatta noi”, che guarda con sprezzo verso una serie di “baracche” di periferia “di latta e cartone, con le antenne, tutte con la televisione, altro che poveretti! Invece il bagno no, non sanno nemmeno cosa sia!” e poi tenta di possedere la ragazza a cui ha dato un semplice passaggio; il notaio con la segretaria gelosa che gli impedisce di assumere belle dattilografe; lo studio di foto d’arte che ruba furtivamente immagini di Rossella svestita mentre fa il cambio d’abito; la mascherina del cinema (Ivi Holezer) che confessa alla ragazza che “l’esame del padrone non è difficile se piacciono i vecchi”; l’avvocato squattrinato e depresso (Fernando Cerulli) la cui unica attività è rimpiangere la sua Mafalda.
L’ambientazione è quella della “Roma di mezzo” degli anni 60, non adeguatamente indagata dai film commedia di quegli anni. Salce coglie i primi segnali di ciò che avrebbe trasformato la disperazione giovanile ed il suo disincanto nei sussulti del '68.
Nel suo girovagare Rossella conosce Giuliano (Luigi Tenco), un contestatore che si trova fuori posto nell'Italia del boom e che professa un suo anticapitalismo ed antimilitarismo viscerali, temi assai scottanti per il periodo in cui il film veniva girato. Inizialmente la giovane pare respingerlo, non apprezzandone gli atteggiamenti da presunto nullafacente. Giuliano è invece incuriosito ed attratto da lei, abbastanza incapace però nel corteggiamento. Lui in realtà ce l’ha con gli sfruttatori e detesta l’idea di andare in guerra (“piuttosto mi ammazzo”).
Parlando con Rossella le indica un tizio: “guarda quello con la sua macchina, ha un cuore di patriota, quello per la salvezza del paese è pronto a tutto, anche a vedermi partire per la guerra”. Un modo per dire che la realizzazione del miracolo si sta costruendo su insani egoismi e sfruttamento del prossimo, soprattutto dei giovani, un miracolo dunque “per i ricchi”, quelli che “nascono miracolati”.
Un amico di Giuliano, il rimorchiatore di “turisti solitari“ , è un altro esempio del cambiamento in corso, del mito della ricchezza facile e di coloro che dalla montagna di soldi che iniziano a circolare provano con spregiudicatezza e furbizia ad accaparrarsene un po’ perché “oggi chi non c’ha la grana è proprio un fesso”.
Fortunatamente l’incontro con Giuliano aiuterà Rossella a mitigare disillusioni e a riconoscere almeno l'amore.
Il film è una chiara critica ad una società che mostra le prime crepe morali e materiali, conseguenza di una industrializzazione senza scrupoli e di una desolante massificazione delle menti. Tutti paiono agitarsi per far soldi in maniera più o meno lecita e manca una qualsiasi forma di cura o attenzione verso le nuove generazioni che provano ad arrangiarsi come possono. La cuccagna non è dunque facilmente riconducibile ad una collocazione di genere definita, per questo suo oscillare tra bozzettismo, denuncia sociale ed introspezione; per la quale ultima è naturale che monti una sorta di sdegno verso un modello di società capace di infliggere alla protagonista, nonostante una innata tenacia e voglia di fare, quasi esclusivamente delusioni.
Molti aspetti del film sono al limite dello sperimentale: in primo luogo la scelta di protagonisti non primi attori, un Tenco esordiente che non reciterà in uno dei soliti musicarelli dell'epoca ma darà convincente corpo alle sue convinzioni e la Turri, bellissima, molto espressiva, ma fino ad allora poco più che una comparsa; e poi le riprese con camera a mano, spesso nascosta, un po’ in stile Nouvelle Vague, dove il film sembra essere recitato sul palcoscenico della vita vera.
Belle le riprese e gli scorci dell’ordinarietà del caos cittadino, lo scorrere delle gambe sulle strisce per evidenziare il peregrinare operoso di Rossella o ancora le immagini dei bambini del suo quartiere periferico, i quali, giocando e facendosi beffe degli adulti, chiariscono da subito quali saranno i toni del film; intensi infine i chiaroscuri che drammatizzano l’intimità ed il dolore dei due ragazzi quando tutto pare ormai crollare.
Da notare il cameo di Tognazzi nel ruolo di proprietario di una Maserati e dello stesso Salce travestito da risibile comandante dell'esercito in una esercitazione nella quale Giuliano e Rossella hanno deciso di farla finita: “Moriremo insieme protestando contro la società perché tutti sappiano la morte atomica“. Fortunatamente la disastrosa prova militare consente la fuga dei due giovani ed il breve sogno di un’isola lontana fatta di “ozio, sabbia e amore” è concluso dagli stessi amanti in un malinconico e romantico ritorno in tram, consci che “l’albero della cuccagna se lo sono fatti per loro, per noi di vero al momento non c’è altro che noi due”.
La musica di Morricone sembra quasi disarmonica e segue il disorientamento della protagonista, “zoppicando senza una fine ed un inizio”. Tenco si ostina con Salce, arrivando fin quasi al litigio, nel voler cantare "La ballata dell'eroe" scritta dal suo amico De André, mentre risuonano ciclicamente "Tra tanta gente" e "Quello che conta", scritte dal regista e musicate dallo stesso Morricone.
Un film dunque con una propria vitalità ed originalità che conferma la significativa rilevanza di Salce all’interno del panorama cinematografico nostrano. Non il suo film più importante, ma un lavoro acuto e per certi versi coraggioso.
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