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800 eroi

Regia di Hu Guan vedi scheda film

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Andreotti_Ciro

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La recensione su 800 eroi

di Andreotti_Ciro
6 stelle

Nel 1937, durante il secondo conflitto sino - giapponese, 800 soldati dell’esercito cinese vennero distaccati a protezione di un deposito di armi che risultava fondamentale per la conquista di Shangai. Il rischio era che la probabile conquista di Shangai potesse tramutarsi nell’anticamera di una disfatta quasi sicura.

 

Da una premessa patriottica, la difesa suicida di un obiettivo nevralgico ai fini bellici, si snoda una pellicola che lungo tutto il proprio percorso narra l’assedio subito da un manipolo di disperati quasi senza scampo. Il film firmato da Hu Guan, non nuovo sia a incursioni nei meandri della guerra, suo Cow, pellicola ambientata nel corso del secondo conflitto mondiale e presentata alla mostra internazionale del cinema di Venezia, ma anche dall’imprinting profondamente nazionalista, è un pugno scoccato nel centro dello stomaco degli spettatori, e che cerca, in assenza di fronzoli, di riassumere la cronaca di una tragedia annunciata necessaria esclusivamente per ridare vita alle coscienze di un popolo che rischiava di abdicare alla propria libertà.

 

Facile che nelle premesse di un film girato nel corso di un assedio, ove non è contemplata la resa come una soluzione percorribile, s’insinui la convinzione di essere davanti a una rivisitazione della battaglia delle Termopili narrate da Frank Miller in 300 o davanti a l’assedio di Alamo rivisitato fedelmente nel 2004 da John Lee Hancock in Alamo – gli ultimi eroi. In tutti questi casi, inclusa la pellicola sceneggiata a sei mani dallo stesso Hu Guan, Rui Ge, Kun Hu e da Huang Donbin, è il cast nel suo insieme a farla da padrone senza che vi sia un protagonista che svetti rispetto ad altri. Tutti quindi equamente protagonisti assieme alla paura di un estremo e inevitabile sascrificio.

 

Prossima a sbarcare anche nella nostra penisola in occasione del Far East Film Festival di Udine, ovvero la maggiore kermesse in occidente dedicata al mondo cinematografico orientale,  l’ultimo sforzo del 52enne Guan non solo rappresenta un kolossal politicizzato, nazionalista e curato nei minimi dettagli, ma l’ennesimo tassello di un’affermazione cinematografica orientale che non sembra assolutamente volersi arrestare.

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