Regia di Hu Guan vedi scheda film
Nel novembre del 1937 si concluse la battaglia di Shanghai, che vide formazioni dell'esercito nazionalista cinese resistere all'avanzata giapponese, per poi ritirarsi su posizioni più arretrate. Il film racconta di questi ultimi giorni della battaglia, concentrando la propria attenzione sull'eroica resistenza opposta all'invasore nipponico da alcune centinaia di militari, asserragliatisi all'interno di un solido edificio trasformato in fortezza. Il mio timore, nell'iniziare la visione di un film bellico prodotto in uno stato nazionalista, è quello di trovarmi di fronte ad un'opera celebrativa, i cui autori, pur non falsando gli eventi, possono essere interessati a rimarcare alcuni elementi più di altri. Questa prospettiva ha in parte trovato conferma. Trattasi di un'opera corale, non c'è un vero e proprio protagonista, sebbene la sceneggiatura segua con particolare interesse le vicende di singoli personaggi, alcuni soldati semplici ed ufficiali tra i combattenti cinesi. Gli assediati sono approfonditi nella loro "umanità". Temono la morte, fraternizzano tra loro cercando un conforto che lenisca il loro terrore, provano la nostalgia dei familiari lontani, che probabilmente non vedranno più. Soffrono per essi stessi e per i compagni; una certa attenzione è dedicata ai feriti, molti dei quali non sopravvivono e trovano serenità nel chiudere per sempre gli occhi. Non mancano disertori e codardi. Ma l'autorevolezza degli ufficiali - accompagnata dall'imposizione di una ferrea disciplina - infonde coraggio e motiva il gruppo, tanto da resistere con determinazione quasi suicida ai ripetuti assalti nemici. Tutto ciò avviene sotto gli occhi dei media stranieri e dei cinesi residenti nei quartieri dati in concessione alle potenze straniere, e pertanto risparmiati dalla gran parte degli attacchi giapponesi. Circa quest'ultimo dettaglio, il regista pone in risalto l'atteggiamento occidentale; europei e statunitensi presenti sul posto sono mostrati ... godersi lo spettacolo del massacro. I rispettivi paesi d'origine non intervengono a difesa della nazione cinese, lasciata sola contro un esercito invasore aggressivo e spietato. L'eroismo del contingente cinese, tuttavia, conquista sia il suo popolo, compresi i membri più disinteressati, perchè al sicuro - fisicamente ed economicamente - nei quartieri delle "concessioni", sia gli osservatori stranieri. Il ritmo è da subito serrato; la prima parte del film è tutta una sparatoria. I combattimenti sono molto crudi, caotici, sanguinari. Alcuni soldati si sacrificano lanciandosi carichi di esplosivo sulle postazioni fortificate giapponesi; non sono atti di eroismo individuale, bensì azioni preordinate, indispensabili alla sopravvivenza del gruppo. L'andamento è più irregolare nella seconda parte del film, nella quale prevale la retorica. Molti soldati rimangono uccisi nel simbolico tentativo di tenere sempre issata una bandiera sul tetto dell'edificio; discorsi e monologhi dell'ufficiale al comando della guarnigione lasciano intendere come la resistenza estrema sia fondamentale per il morale del popolo cinese ed il compattarsi dello stesso come nazione. Ma prevalse la "ragion di stato"; la ritirata dei superstiti è descritta come un ultimo massacro, ed ammantata di gloria. A tratti il fragore dei combattimenti e la sequenza dei lamenti dei feriti è interrotta da simboliche visione oniriche. Ogni tanto compare un maestoso cavallo bianco, uscito ad inizio racconto da una gabbia ... e stranamente attratto dalla zona dei combattimenti, dal momento che vi ronza continuamente intorno. Circa la recitazione, nessun attore mi ha colpito più degli altri. Ognuno si attiene rigorosamente al ruolo assegnatogli. Gran parte del film ha come soggetto il palazzo trasformato in fortezza, nei suoi interni ed esterni, le strade ed il ponte adiacenti. Il regista concede, tuttavia, spazio anche agli ambienti delle "concessioni" occidentali, con i loro edifici lussuosi e luminosi, rimarcando la quasi indifferenza dei suoi occupanti alle tragedie che si consumano alcune decine di metri oltre. Armi, uniformi, altri dettagli sono, per quanto ne so, realistici. I soldati cinesi indossano lo "stahlhelm"; durante il film è ripetuto più volte che essi ricevettero armi e materiale dalla Germania. Non è facile giudicare oggettivamente l'opera. Senza dubbio, le spettacolari sequenze di combattimento ne sono un elemento positivo. Il loro realismo è reso dal caos, dalle grida che si odono da ogni parte, dalla morte che giunge improvvisa a causa di un'esplosione o un proiettile vagante. D'altro canto, il regista prende, con evidenza e metodo didascalico, le parti di chi produce il film. I giapponesi sono nemici con i quali non è possibile alcuna trattativa; gli occidentali colonizzatori indifferenti alle sorti del popolo cinese; i singoli individui hanno valore solo come parte del gruppo; la cieca determinazione dei resistenti è simbolo di tenacia e coesione di un popolo la cui coscienza nazionale è in via di formazione. La realtà, però, fu un po' diversa; la vantata unità del popolo cinese è stata ottenuta con la ricomposizione forzata di profonde lacerazioni sociali, etniche, politiche. Volendo soprassedere su quest'ultimo aspetto, il film è avvincente. Gli amanti della guerra e dell'azione non avranno di che lamentarsi, nonostante l'inevitabile uniformità delle ambientazioni. Io, personalmente, non amo la retorica nazionalista; pertanto sono rimasto un po' ... perplesso. La distanza dall'espressività dell'autore ha intralciato il mio coinvolgimento emotivo nel racconto. Mia personalissima valutazione, sufficienza.
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