Regia di Carlo Lizzani vedi scheda film
Un buon film (anche oggi, a 67 anni di distanza, anni che mostra tutti) sul dramma del perfezionamento dell’affermazione del fascismo. Ambientato attorno al ’26, mostra come eroi coloro che rischiavano di tutto pur di non accettare il dilagare della violenza nera. Il film mostra bene come tale fascismo si nutrisse di tanti aspetti, tanto illegali quanti rivoltanti sotto il profilo morale: le violenze impunite dello squadrismo, che arrivavano fino ad uccidere, o a pestare fino a creare conseguenze che settimane o mesi dopo portavano alla morte; l’omertà diffusa, in favore dei fascisti, i quali avevano tutti i mezzi, concessi colpevolmente dalla politica, per togliere lavoro (e salute e vita) a chi non si sottometteva alle loro angherie, e non voleva esservi complice (esemplare è il pestaggio del mite negoziante, che si è rifiutato di donare soldi al fascio; i mezzi similari di mafie e fascismo sono un’altra interessante chiave di lettura storica); il sistema dei “due pesi e due misure”, per cui le violenze degli antifascisti erano perseguite con un’energia straordinariamente maggiore rispetto alle altre (già si è detto della colpevole accettazione silente delle violenze dei fascisti). Tutti gli antifascisti in scena poi o muoiono (due) o vanno in galera (altri due); non c’è scampo, prima o poi la condanna è inesorabile, per quello che resta invece sempre un merito, ovvero opporsi a un totalitarismo, di quelli che uccidono i diritti umani.
Evidentemente l’omonimo romanzo di Pratolini, che è il soggetto da cui Lizzani ha pregevolmente tratto il suo film, è valido (che scrive non l’ha letto). Il regista romano, allora 31enne, si cimenterà ulteriormente in opere sul fascismo, meno interessanti per quanto calligrafiche (“Il processo di Verona” del ’63; “Mussolini ultimo atto” del ’74), da cui si distingue l’altra riduzione di un romanzo antifascista, lo splendido “Fontmara”, confezionato nell’80 per la Rai. La vita quotidiana qui è ben replicata: oltre che per il silenzioso (e umiliante, per chi subiva la prepotenza fascista, impossibilitato a reagire in modi normali) clima politico,anche per l’intreccio delle storie d’amore, che si avvalgono di un cast capace, ed esteticamente bello (in particolare, per le parti femminile, ciò vale per Anna Maria Ferrero e soprattutto Antonella Lualdi). Proprio tali rapporti amorosi aggiungono il giusto quadro patetico, in grado di appassionare il pubblico alle sorti delle vittime ingiustificate.
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