Regia di David Lynch vedi scheda film
A straight story è il film di Lynch forse all’apparenza più modesto in quanto meno arzigogolato. L’andamento narrativo è lineare, la storia è (sempre apparentemente) scarna, i ritmi sincopati anzichenò. Ma il film non è piatto, potrebbe risultarlo agli occhi dello spettatore troppo pretenzioso o inadatto a una storia vera, che cerca elementi che la storia in sé non può dare…
Un film che esce dagli schemi lynchiani classici quanto a struttura narrativa e canoni estetici; ma tali canoni, come per “The elephant man” (altro film “normale” di Lynch), si tramutano in fantasmi più sibillini, meno evidenti a livello formale, ma sicuramente più terrificanti perché più reali, in quanto legati all’animo umano e ai suoi lati più reconditi.
Diciamo pure che Lynch racconta (bene) una storia che sarebbe stata un semplice antefatto per qualche altro regista; e decide di troncare il racconto, lasciando allo spettatore il proprio finale ideale, proprio laddove si poteva speculare (viste le tendenze odierne legate al sensazionalismo).
Il finale è un inno al cinema dei sentimenti, che evita però di scadere nel buonismo e nel moralismo in cui avrebbe risucchiato molti.
Il film è un inno alla vita e ai valori veri che la contraddistinguono o che dovrebbero farlo veramente, ma il tocco è quello di un autore di livello che può permettersi di evitare spettacolarizzazioni, tanto da scegliere il garbo di un attore come Richard Farnsworth che incarna alla perfezione un personaggio dalla profonda identità.
Da ricordare un paio di scene in particolare: il pianto nel bar con un reduce di guerra, dove Alvin lascia trasparire un background doloroso che lo spettatore fino ad allora aveva solo potuto immaginare, e la chiacchierata con la ragazza autostoppista, redenta dai cattivi pensieri in nome di un sentimento, quello della famiglia, rappresentato da Alvin con la meravigliosa metafora del bastoncino che si spezza…
Poesia cinematografica. dedicata ai denigratori di Lynch…
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