Regia di David Lynch vedi scheda film
In un universo cinematografico costruito su labirinti surreali, figure perturbanti e doppi oscuri, "A straight story" (letteralmente "Una storia dritta") di David Lynch si staglia come un enigmatico e meraviglioso paradosso, un viaggio lineare, quasi ingenuo, che travolge la comprensione senza scontrarcisi frontalmente.
Lynch, maestro assoluto nell’incorporare il caos e l’irrazionale, compone un racconto apparentemente dritto, ma che, come un serpente, si avvolge su sé stesso e scompone le coordinate percettive di chi guarda.
Il titolo inglese, "The Straight Story", esplora una duplicità linguistica che si esprime come un’ironica premonizione. Apparentemente, ci troviamo di fronte a un’odissea terrena, accompagnata dal lentissimo incedere di un trattore-tagliaerba; un viaggio senza deviazioni che, tuttavia, rivela le increspature sotterranee dell’umano in maniera simile a un paesaggio visto dall’alto, dove ciascun dettaglio contiene il seme della vertigine.
Il racconto di Alvin Straight non è semplicemente un rigido tracciato da punto A a punto B; piuttosto, un pulsare di vite raccolte nel riflesso quasi imbarazzante della semplicità che nasconde, sotto il profilo familiare e ovviamente realistico, l’intensità dell’esistenza. Lynch, in un gesto capovolto rispetto alla sua tipica grammatica, lascia evaporare la soglia del surreale nei dettagli più umanamente tangibili: le rughe sul volto di Straight diventano crepe vitali, le stampelle e le sue difficoltà deambulatorie riportano alla mente il tema del deforme, mentre il paesaggio rurale del Midwest appare come un deserto colmo di cose non dette e storie avvenute.
Ogni incontro lungo la strada si tramuta in uno specchio culturale dell’America più profonda, rivelando la trama di un universo che resta, inesorabilmente, lynchiano nel suo cuore riservato e ferocemente tenero.
È nel contrasto tra il materialismo dell’apparente e l’immaterialità dell’essenza che "Una storia vera" si rivela, non come un’opera minore, ma anzi come un nodo cruciale nel tessuto filmico di Lynch. Un’opera-manifesto che, pur nella chiarezza e nella visibilità del suo tragitto, espande la mappa sotterranea del vissuto, consegnandoci, con grande potenza, un percorso di accettazione e redenzione.
In Una storia vera il tempo, poi, si manifesta non solo come cornice, ma come protagonista invisibile. Un elemento trasfigurato in cui la lentezza diviene forma di ascolto e il passato emerge continuamente nelle pieghe del presente. In questo film il tempo non è semplicemente un vettore lineare, ma una spirale che avvolge e si srotola al ritmo del viaggio interiore di Alvin.
Lynch, in contrasto con la frenesia del contemporaneo, riporta il tempo a un moto primordiale, fermandolo nelle pause infinite delle silenziose campagne americane. Ogni sosta lungo il percorso diventa un ripiegamento della memoria, un microcosmo di storie e di attese che rende queste pause tanto vitali quanto il movimento stesso. Alvin, mentre avanza con il suo trattore, non si limita a percorrere chilometri, ma naviga attraverso le proprie memorie e le proiezioni dei suoi rimpianti, dialogando con un passato che si riattualizza in ogni incontro.
Indimenticabile il momento con la giovane autostoppista incinta, che si trasforma in un nexus dove il peso del tempo circolare prende forma nella narrazione del protagonista: un uomo che fa pace con il passato grazie alla condivisione di esperienze che travalicano il tempo stesso.
Lynch orchestra questo passaggio con una delicatezza quasi impalpabile, portando lo spettatore a percepire il tempo non come semplice sequenza di accadimenti, ma come tappeto sonoro sotto il quale ribolle un’umanità complessa e misteriosa.
Forse, la vera magia di Lynch è nel far sì che il tempo, in “The Straight Story”, si espanda e si contragga attraverso il paesaggio e i volti, percepibile non nei suoi ticchettii meccanici, ma nel respiro lento e profondo di una narrazione che, mentre scorre, accumula un’energia segreta. È una temporalità che non si misura in minuti, ma in emozioni intraducibili e verità percepite.
Alla fine, ciò che emerge è una riflessione sull'ineluttabile passaggio del tempo e sulla capacità umana di riconciliare quello che è stato con quello che è. Una "storia dritta" che, nel suo incedere lento, riesce a tessere un arazzo temporale complesso e ricco, facendo del tempo stesso uno specchio della resilienza e della speranza. Lynch, dunque, ci invita a compiere un viaggio che, nei ritmi e nelle pause, svela un ritratto etereo ma vivido del sentire umano, meravigliosamente incapsulato nei silenzi e nei sussurri di un tempo che, piu che passare, è, esiste.
La straordinaria bellezza di questo film risiede nell’essere simultaneamente uno specchio e un sogno, dove ogni curva del viaggio di Alvin si fa vertice di una mappa nascosta, capace di riportarci, senza conforto, all’abisso della semplicità umana. Un capolavoro di portata silenziosa che si distanzia dal labirinto senza mai abbandonarlo.
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