Regia di Kimberly Peirce vedi scheda film
Da sempre poco avvezzo alla visione di film profondamente sofferti (per il tema doloroso che trattano), ho passato quasi tutto il tempo (trascorso a vedere il film) a chiedermi quando sarebbe avvenuta la svolta (quella tragica); quando il fragile castello di carta eretto dal coraggioso protagonista avrebbe miseramente franato su se stesso. Ed ogni attimo di prolungamento di questa snervante attesa costituiva un momento di distensione e sofferenza al tempo stesso, perché sapevo per certo (riflettendo banalmente sul significato del titolo del film) che, da quella, nessuno avrebbe avuto scampo.
Tuttavia ho apprezzato tantissimo come K. Peirce sia riuscito a descrivere tutto ciò (personalissime gioie e dolori di un ragazzo qualsiasi) con uno sguardo discreto e delicato… quasi pudico (beh, non proprio in tutte le scene). La tragedia è, sì, inevitabile, ma non viene spettacolarizzata (mediante il ricorso alla gogna mediatica) e irrompe solo verso la parte finale, quando ormai le carte sono state, una ad una (e senza fretta), scoperte e, dunque, ci si è attrezzati (solo noi spettatori purtroppo) per subirla. Ed è una tragedia che, benchè colpisca a fondo e faccia un male cane, non riesce a ottenebrare il ricordo di quei tanti bei momenti di autentica, sfrenata eppur normalissima (beh, forse non sempre) vita quotidiana. Quella che non annoierà mai coloro che - beati loro - sanno intravedere spiragli di luce in un mondo a tinte scure.
Dunque, la gioia di vivere - in molte delle sue sfumature (non in tutte, visto che prevale la spensieratezza e l’irresponsabilità, oltre che tanta, tanta passione) - e bagliori accecanti di non rara (purtroppo) follia umana si fondono assieme in un bel dramma (ossimoro inevitabile) tutto contemporaneo (quanto mi irrita la sua persistente attualità) che riesce ad emergere dalla media dei film che raccontano il disagio esistenziale grazie all’ottima prova attoriale della Swank (pluripremiata, non a caso, per tale ragione).
Un film assolutamente necessario, prima ancora che artisticamente valido (Dying Theatre).
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