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Fucking Åmål - Mostrami l'amore

Regia di Lukas Moodysson vedi scheda film

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La recensione su Fucking Åmål - Mostrami l'amore

di Stefano L
8 stelle

Så ser Elin från "Fucking Åmål" ut idag – 20 år senare

 

La cittadina svedese “Åmål” suggerita dal titolo internazionale è uno dei tanti luoghi di provincia europei dove le mode, quando arrivano, fanno il giro del mondo (i rave già sono “out” secondo il rotocalco più gettonato dalle ragazzine), gli adulti non riescono a capire le sfumature del cambio generazionale, gli adolescenti vivono seguendo i modelli pubblicizzati dalla tv (Leonardo DiCaprio era il bello del momento), e sebbene internet avesse perso un paio d’anni prima della vera diffusione globale, i teenager erano attenti a “misurare” il cellulare. In questo periodo di transito cruciale, in bilico fra i miti del vecchio e l’avvenirismo del nuovo millennio, Agnes (Rebecka Liljeberg, che ho avuto il piacere di notare anche nel corto "Närkontakt") affronta la classica giovanissima età. Non è esattamente popolare (non fa nemmeno parte di un gruppo di sgallettate) e i genitori, convinti che invece abbia tanti amici, le organizzano una festa di compleanno alla quale ovviamente non partecipa nessuno. Improvvisamente però suona il campanello: è Elin (Alexandra Dahlström), la compagna di scuola che, non avendo programmi, assieme alla sorella Jessica (Erica Carlson), decide andare a casa sua, pensando che ci fosse un party pieno di gente. Dopo aver bevuto qualche sorso di vino, cominciano a scherzare sul fatto che vorrebbero provare nuove esperienze. Escono insieme, intente a raggiungere Stoccolma. Una volta salite in macchina di uno sconosciuto decidono di riprendere a parlare dell'argomento tabù: scoccherà un’inusuale scintilla di passione tra queste ambivalenti personalità inverse. Nella pellicola accuratamente sgranata dal ventottenne Lukas Moodysson, siamo ben distanti dalle atmosfere patinate alla “Dawson's Creek”; e non soltanto nel netto distacco di culture, nazionalità e il divario considerevole fra televisione e cinema, ma per il lodabile background allestito dal regista nordico, un concreto omaggio al post-neorealismo. “Il coraggio di amare” a cui fa riferimento la didascalia, non è un banale cenno alla relazione omosessuale instaurata dalle protagoniste, bensì un richiamo alla forza d'animo da esercitare individualmente in modo da uscire dalle imbastiture dell’uniformità del sistema e capacitarsi ad essere se stessi. La cinepresa, nella linearità “tout court”, si trattiene sui volti, le espressioni e gli affanni delle attrici, offrendo un quadro ad ampio respiro, pervenendo a quel tipo di empatia emozionale che Moodysson vuole elargire, con delicatezza e sensibilità di tocco nella messa in scena (schietta, non triviale), ai benpensanti astanti, senza inciampare su quel formalismo massificatorio che di certo avrebbe abbassato precocemente l’interesse verso i novanta minuti del film: la Liljeberg spicca su tutti gli altri interpreti (i secondari non sono molto incisivi), dando corpo e spirito straordinariamente palpabili al suo personaggio. Da apprezzare nondimeno la Dahlström, non professionalmente matura come la collega, ma in ogni caso calorosa e suadentemente coinvolta, nonostante i soli sedici anni alle spalle.

 

 

 

 

 

 

 

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