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The Mauritanian

Regia di Kevin Macdonald vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su The Mauritanian

di alan smithee
6 stelle

L'odissea giudiziaria ma soprattutto detentiva che ha coinvolto per oltre quattordici anni il giovane mauritano Mohamedou Ould Slahi (interpretato con una certa ispirazione dal bravo Tahar Rahim)sta al centro del nuovo film diretto dall'affidabile Kevin Macdonald, che segna tra l'altro il ritorno sulle scene dopo alcuni anni di Jodie Foster, per l'occasione premiata ai Golden Globe come miglior interprete femminile di un film drammatico e qui nei panni di Nancy Hollander, la tenace avvocato difensore dell'accusato ed imprigionato.
L'uomo fu catturato dal governo Usa dopo che il suo cellulare risultò a contatto con quello di Osama Bin Laden, circostanza che lo presunse affiliato al gruppo terroristico del tristemente celebre autore della strade dell'11 settembre a new York.

Imprigionato per anni nel carcere di massima detenzione di Guantanamo Bay, l'uomo trova come suo unico tenace alleato l'avvocatessa Nancy di cui sopra, che si troverà a combattere contro un avvocato accusatore tenace come il tenente colonnello Stuart Couch (un Benedict Cumberbatch, convincente come ormai ci ha abituato in ogni occasione che lo vede coinvolto), che poi si renderà conto della cospirazione che si cela dietro a quella facile e disinvolta carcerazione con tortura annessa, avendo l'intelligenza ed il coraggio di opporsi, rimettendo in discussione ogni sua linea accusatoria.
Macdonand dirige con la consueta professionalità un film a sfondo giudiziario che riesce ad intrattenere giocando carte per nulla originali o sconcertanti, facendosi forza sulle ragioni di una incarcerazione ingiusta e comunque irrispettosa di ogni sacrosanto diritto umano, perpetrata proprio dal regime che si proclama paladino della libertà individuali e del rispetto della persona.

Il cast funziona nonostante la smodata tendenza, ormai dilagante senza una vera e propria ragione oggettiva, a travestire gli attori ad immagine e somiglianza dei veri protagonisti della disumana vicenda, circostanza che costringe la Foster ad invecchiarsi ed imbiancarsi senza una reale giustificazione che non sia il solito ricorso alle immagini vere riservato ad un finale"da copione" che rispecchia ormai una tendenza smodata del cinema delle majors a confrontare necessariamente il cast prescelto con le reali figure della vicenda realmente occorsa.
Come se la bravura di un interprete fosse commisurata alla necessità di emulare fisicamente il proprio reale personaggio, in nome della solita approssimazione qualunquista made in Usa fondata su un approccio esclusivamente emotivo e superficiale.
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