Regia di Jane Campion vedi scheda film
La Campion si getta sul thriller western atipico e anomalo, dove in effetti facciamo fatica a trovare qualcosa di normale: due fratelli che più in antitesi non possono, stilisticamente e fisicamente, ma che si occupano entrambi del ranch e delle mandrie, solo che uno è in giacchetta anche quando portano i manzi a spasso, l’altro appare rude ma suona il banjo da virtuoso ciarlando con metafore argute, e sotto la scorza di omo virile forse nasconde qualche scheletro di troppo nell’armadio. Il grassottello, uomo mite e pacato, si innamora di una vedova con anoressico, e fin troppo ingentilito, figlio a carico, e quando la sposa, portando entrambi nel ranch di famiglia iniziano le scaramucce di gelosia, incompatibilità di carattere e rivendicazione di territori e affetti carpiti. A questo punto la Campion tappezza il film di riquadri e indizi spesso isolati, spargendo lo schermo di un puzzle/labirinto che tenderebbe a sviare, di più, a imporre una soluzione telefonata, ma il troppo sviare lascia tutti in surplace e la soluzione finale, in fondo, era già stata annunciata.
Il potere del cane un po’ come il cane di paglia, dove dei quattro personaggi in luce, inseriti tutti in un fuori contesto palpabile, il George impersonato da Jesse Plemons è quello che ci rimette di più in quanto a inettitudine e insignificanza, ma bisognava pur disegnarlo così (tipo con la pellicciona di bisonte musqué), come anche Rose (Kirsten Dunst), di fatto troppo arrendevole ed isterica (anche se capace di acchiappare l’ereditiero), poi il figlio semianoressico Peter (Kodi Smith Mac-Phee) che somatizza una parte disegnata su misura per lui e infine il buon Phil (Benedict Cumberbatch) impegnato ad accennarsi in mille fogge fino al troppo che stroppia (immagino ne abbia avuto abbastanza pure lui..). E c’era pure Keith Carradine! Che se solo lo penso ne I duellanti, mi viene da piangere..
Insomma, perché proprio adesso devo venirvi a parlar male di codesto film? Sorpreso anche io alla fine, si, ma perché mischiando tanto carte e caratteri, alla fine, qualcosa di particolare deve pur uscire, ed io non condanno l’epilogo ma i preparativi, le false piste, le lezioni di anatomia, il decorso sopra le righe, le fragilità dei caratteri, il caleidoscopio delle trasformazioni, l’inutilità dei comprimari, e questa sorta di paraculeria per la quale quattro tipi diversissimi devono travestirsi e travisarsi per poter concedere un ohh! finale. Eccolo il rimprovero.
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