Regia di Shaka King vedi scheda film
«Le parole sono belle ma l’azione è suprema».
Benché sia auspicabile, ossia cosa buona e giusta, risolvere le criticità mediante il ricorso a un dialogo costruttivo e aperto, imparando dunque ad ascoltare per comprendere e non solo per tacitare l’interlocutore di turno alla prima occasione utile, quando la misura è colma non rimane altro che intraprendere strade tortuose e incerte. Uscire da un vicolo cieco e trovare la forza dapprima per resistere e poi per combattere, senza farsi abbattere al cospetto delle tante difficoltà che inevitabilmente si frappongono lungo il cammino, sostenendo e diffondendo le proprie ragioni anche quando le armi in campo sono ineludibilmente impari.
Come rivendicato - con il cuore in mano - da Judas and the Black Messiah, titolo emblematico che identifica i due personaggi cardine della sua appuntita disamina. Un film pugnace che guarda al passato, tributando un sacrosanto riconoscimento a una giovane anima impegnata nel conseguimento del bene comune, pensando parimenti al presente, a quei nodi irrimediabilmente irrisolti e quindi tuttora ricorrenti, con richieste di equità di trattamento incagliate nell’infausto limbo che trattiene tutto quanto sembra destinato a essere considerato sine die come mera utopia.
Chicago, 1968. Fred Hampton (Daniel Kaluuya – Nope, Scappa – Get out) è il giovane leader delle Black Panther dell’Illinois, sorvegliato dalle autorità federali per via della sua crescente popolarità acquisita tra la gente. Per frenarne l’ascesa, l’Fbi assolda William O’Neal (Lakeith Stanfield – Diamanti grezzi, Cena con delitto), manovrandolo attraverso l’agente Roy Mitchell (Jesse Plemons – Il potere del cane, Fargo, stagione 2) in modo da marcarlo stretto e limitarne la linea d’azione.
Mentre il forcing di J. Edgar Hoover (Martin Sheen – Apocalypse now, Wall Street) si fa insistente, Hampton amplifica il raggio della sua autorevolezza avvicinando fronti tra loro storicamente distanti e inizia una relazione sentimentale con Deborah Johnson (Dominique Fishback – Project power, Il coraggio della verità).
Nonostante sia conscio dei rischi sempre maggiori in cui sta incappando, Hampton non ha alcuna intenzione di rinunciare ai suoi propositi.
Judas and the Black Messiah (2021): Daniel Kaluuya, Lakeith Stanfield
Diretto e sceneggiato da Shaka King (Newlyweeds), Judas and the Black Messiah è uno di quei film deputati a (ri)svegliare le coscienze sul tema dei diritti civili e a fornire indicazioni su quanto già successo per dare voce a chi sta ancora lottando, per aprire una porta di speranza alle nuove e insoddisfatte generazioni.
Pur non disponendo della potenza di fuoco e della compattezza di un Malcolm X, vanta una considerevole forza d’urto e di una dissertazione ampia e variegata, ha parecchio materiale da mostrare ed esternare, sa da che parte stare e non disdegna di raffigurare le zone grigie.
Un bastimento stipato di eventi e rapporti da riportare e segnalare che, nella loro dislocazione su una copiosa pluralità di punti di vista (Hampton per la lotta, Deborah per l’affetto, William per il tradimento, Roy per il sistema), hanno raramente lo spazio per aggiungere approfondimenti, transitando tra molteplici scene madri e appunti sparpagliati, ripetute infiltrazioni e riflessi.
In ogni caso, l’arringa è incisiva, il reticolo perseguito annovera eloqui palpitanti e accadimenti rilevanti, getta benzina sul fuoco radicalizzando le posizioni, acquista vigore nelle contraddizioni sistemiche e sistematiche, con una progressione serrata che non attribuisce troppo peso alle virgole, valorizzando i significati sedimentati e le singole puntualizzazioni.
Una nitida comunione d’intenti che ha il sapore della militanza condivisa e agguerrita, nella quale gli interpreti sono tutti pienamente coinvolti e puntuali, con una particolare nota di merito da assegnare a Lakeith Stanfield, alle prese con un personaggio contrastato e complesso, tribolato e spigoloso, ruvido e fondamentale, che decifra con una compiuta adesione in tutte le sue mutevoli gradazioni.
Judas and the Black Messiah (2021): Lakeith Stanfield, Jesse Plemons
Alla fine, Judas and the Black Messiah è un film imperfetto e accidentato, che però alza le barricate e si fa valere in virtù della sua tempra, vivida, orgogliosa e risoluta. Con una piattaforma stilata a testa alta, sempre sul pezzo pur dimenandosi su un arrangiamento febbricitante, capace di attecchire con le unghie e con i denti e, di conseguenza, propagare il suo lascito.
Tra rabbia e consapevolezza, diatribe e aspirazioni, reportage e finzione, entrate in tackle duro e chiavistelli esplicativi, anelli deboli e un piglio costruttivo, divisioni incancrenite e responsabilità longeve, vite spezzate anzitempo e nervi a fior di pelle, repressioni e tumulti.
Ruspante e incandescente.
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