Regia di Antonio Campos vedi scheda film
La guerra distrugge l’uomo e quindi anche la fede, non è concepibile l’esistenza di Dio quando si è travolti dalla violenza e dalla morte, durante la seconda guerra mondiale il giovane soldato Willard (Bill Skarsgard) affronta il simbolo per eccellenza del suo credo e non lo riconosce più, è un abominio mutato e osceno, una blasfemia inaccettabile che va distrutta, prende la sua pistola e spara al commilitone spellato vivo e crocefisso dal nemico invisibile (i “Jap” sul fronte del Pacifico), ponendo quindi fine alla sofferenza dell’uomo e all’illusione della fede.
Finita la guerra torna a casa ma quell’immagine non l’abbandona mai, si innamora di Charlotte (Haley Bennett) e mette su famiglia, a quel punto la paura dell’ignoto e della vita lo riportano sulla retta via e dietro casa costruisce la sua chiesa personale, due tavole di legno per una nuova croce, un portale di preghiera e devozione verso un Dio che non ascolta mai.
La storia di Willard, di sua moglie Charlotte e del figlio Arwin (da grande interpretato da Tom Holland) è solo il pezzo di un mosaico più ampio, in un contesto di rurale ignoranza dominato dall’ipocrisia e dagli istinti più bassi si incrociano le vicende tragiche e violente di un’umanità grezza e disorientata, l’arco temporale copre un percorso lungo vent’anni (dal ‘45 al ‘65) e ci presenta personaggi che legano i loro destini in un groviglio di linee impazzite.
Un predicatore (Harry Melling) che uccide la moglie convinto di poterla riportare in vita, una coppia di assassini seriali che raccoglie autostoppisti (Riley Keough/Jason Clarke), uno sceriffo corrotto e pronto a tutto (Sebastian Stan), una ragazza timorata di Dio (Eliza Scanlen) che finisce nella rete di un un viscido e repellente “uomo di chiesa” (Robert Pattinson).
L’affresco narrativo è decadente e poderoso, perno fondante il romanzo The Devil All the Time a firma Donald Ray Pollock, che si presta per l’occasione come ottimo narratore, voce off quanto mai efficace e punto di raccordo indispensabile tra una linea e l’altra, tra una città e l’altra, tra un protagonista e l’altro.
“Anni prima Willard aveva montato una croce scolorita sopra un albero caduto in una piccola radura dietro la sua casa. Ci andava ogni mattina e ogni sera per parlare con Dio. Suo figlio pensava che il padre combattesse il diavolo da sempre.”
Vedendo Le strade del male si percepisce chiaramente la forte derivazione letteraria e l’impegno profuso dai fratelli Campos (Paulo e Antonio - quest’ultimo anche regista) in sede di adattamento, firmano la sceneggiatura con l’obiettivo solo in parte riuscito di comprimere la densità del romanzo, traslando un racconto complesso e imponente nel delimitato spazio dell’opera cinematografica, rispettando quindi la fonte originale e le regole basilari di un’efficace narrazione filmica.
Ne esce fuori un film dalla durata forse eccessiva (2h 18’) che in alcuni momenti sembra perdersi e girare a vuoto, ma in tutta onestà mi sento di andare oltre questo limite, del resto sono tre i percorsi narrativi che si intersecano fra loro, fortemente connessi uno all’altro, impossibile operare di forbice.
Il frammento che funziona meno è quello che descrive le vicende dei due serial killer, per buona parte del film sembra del tutto slegato dal contesto principale, anche i due protagonisti sono poco approfonditi e le loro motivazioni appena accennate, molto probabile che nel romanzo questa coesione fosse più solida e funzionale.
Le strade del male ci racconta dell’eterna lotta tra l’uomo e i demoni che si porta dentro, dare una forma e un nome a questi demoni non è impresa facile, gli istinti animaleschi e gli inganni perpetrati (in primis verso se stessi), ma anche l’ignoranza e la violenza cieca, la morale sempre vinta dall’ipocrisia, l’imperfezione della natura umana messa di fronte all’illusione della fede, una facile scorciatoia e all’occorrenza un ventre molle pronto ad accogliere peccati e peccatori.
Ma non esiste vera salvezza, l’inganno è ovunque e in chiunque, non è certo un caso che al termine del lungo viaggio l’unico personaggio toccato da un briciolo di speranza è quello che fin dall’inizio sfuggiva all’abbraccio del credo religioso, che non capiva come il sacrificio del suo amato cane potesse salvare la vita della madre malata.
Molto buone le prove attoriali, Bill Skarsgard e Tom Holland si passano un invisibile testimone interpretando due figure agli antipodi ma allo stesso tempo complementari, Robert Pattinson e Harry Melling sono due predicatori odiosi e folli, Mia Wasikowska è brava ma limitata da un personaggio minore, sorprende in positivo il vice sceriffo di un appesantito Sebastian Stan, Riley Keough e Jason Clarke sono invece due conferme, peccato che la storia di questa coppia di assassini sia quella che convince meno.
Il compito di Antonio Campos non era dei più semplici, il regista si affanna nella ricerca di una necessaria compattezza narrativa, sia testuale che di regia, quando ci riesce il film appassiona e coinvolge, quando non ci riesce il racconto si fa più dispersivo e fragile, ma nonostante questa evidente mancanza di equilibrio Le strade del male resta un opera interessante e da vedere, imperfetta ma a tratti affascinante.
Voto: 7
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