Regia di Mark Dennis, Ben Foster vedi scheda film
Fugge tuttavia, accelerando.
Ogni racconto che comporti l’utilizzo dei viaggi attraverso il tempo (tralasciando per semplicità l’altra faccia inscindibile della medaglia, ovvero le tre dimensioni dello spazio, per l’occasione non applicandola alla questione in esame) non può prescindere dall’instillare nell’ascoltatore-lettore-spettatore una fonte di melancolia relativa alla thanatosinderesi (un termine che ho inventato in questo dato istante passato che ha già raggiunto il futuro), vale a dire la consapevolezza della morte, la contezza dell’epilogo, la coscienza della finitezza, in questo caso vicendevolmente rapportata a una coppia di genitori e ad un cane.
D’accordo, non ci troviamo innanzi ad un piccolo capolavoro quali più o meno sono i precedenti e successivi “il Giorno del Nerchiopiteco”, “Teenage Caveman”, “Primer”, “the Descent”, “Resolution”, “Bone Tomahawk”, “the Endless”, “Dark”, “Synchronic”, “Palm Springs”, “Something in the Dirt”, “the Resort” o “Silo”, ma questo “Time Trap” davvero male non è, affatto.
I registi, montatori e produttori Mark Dennis (anche sceneggiatore) e Ben Frost firmano dopo “String” un’opera seconda dai limiti evidentissimi (ingenuità varie, dialoghi che spesso sabotano la caratterizzazione dei personaggi e recitazione - Reiley McClendon, Cassidy Gifford, Brianne Howey, Olivia Draguicevich, Max Wright e Andrew Wilson - senza particolari guizzi) e dai pregi controbilanciantili: ambientazione, coerenza fanta-“scientifica”, ritmo, gestione degli effetti speciali disponibili e un ben impostato e messo in scena twist comportamentale nel pre-finale, quando – INIZIO SPOILER – una delle protagoniste ritorna dopo pochi secondi relativi passati al di là del limine (confine e ponte/passaggio) e si nota immediatamente come e quanto sia cresciuta caratterialmente per le esperienze vissute oltre la “barriera” (tramite la quale pioggia e oceani non penetrano, ma le persone sì: e va beh, dai) durante un tempo soggettivo ben più lungo – FINE SPOILER –, espediente/dispositivo poi ripetuto subito dopo esercitandolo su altri ruoli in relazione ad altri ancora creando collateralmente un non ingombrante - dato che il film può dirsi autoconclus(iv)o senza troppi mugugni - cliffhanger.
Fotografia di Mike Simpson, musiche di Xiaotian Shi e location reali texane (stato con un vasto sistema ipogeo di cavità naturali utilizzato ad esempio da Stephen King in “the Outsider” e poi da Richard Price nella sua trasposizione seriale).
Peccato per quel momento di comunicazione a distanza per mezzo di ricetrasmittenti col ragazzino che in un primo momento poteva sembrare – INIZIO SPOILER – un sé stesso invecchiato e invece poi… no – FINE SPOILER –.
Il tempo (che tanto separa quanto unisce) è l’ossaturale meccanismo della trappola (fontana della giovinezza “a parte”) ch’è la vita: dura più (che non significa "è migliore") un labirinto o la retta via?
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