Regia di Yulene Olaizola vedi scheda film
Ogni mito ha in sè qualcosa di sacro in quanto scrigno universale cesellato dai sogni, dalle speranze, dalle sofferenze di moltitudini di anime che, in qualche modo, custodisce; come un'arca diretta verso il futuro, ad eterna testimonianza di ciò che è stato e che, con ogni probabilità, ancora sarà. La sua trasposizione, pur attualizzata, dovrebbe essere perciò intrisa di questa sacralità ed il suo linguaggio dovrebbe essere, appunto, universale. Qui viene invece derubricata a semplice espediente narrativo espresso con un minimalismo che, anzichè eclissi dell'eccesso necessaria a cogliere l'essenza, sembra più il balbettio di chi parole non sa trovare. Ne risulta una storiella, diligentemente raccontata, che intrattiene senza coinvolgere, sorretta da prove attoriali dignitose. Molto suggestiva la fotografia, in grado di rendere con efficacia la natura, sia nel suo lussureggiante fascino, che nella sua componente di claustrofobica ferocia. Ferocia che impallidisce di fronte a quella umana, questa sì ben rappresentata nella sua dimensione autodistruttiva e profanatrice. La dualità della Xtabay, corrotta seduttrice che di bellezza si maschera, avrebbe potuto, in questo contesto, essere spunto per una narrazione di evocativa intensità, degna del mito; è stata, invece, sostanzialmente sprecata.
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