Regia di Shahram Mokri vedi scheda film
All’alba della rivoluzione di Khomeini nel 1979 quattro attentatori bruciano un cinema per esprimere il disappunto per gli atteggiamenti “occidentalizzanti” dell’Iran. Questo presupposto storico è la scusa narrativa di Careless Crime per srotolare un fiume in piena di situazioni, personaggi e dialoghi che, lungaggine dopo lungaggine, fa interfacciare livelli diversi di realtà e imprevedibili loop irrisolvibili. Il metacinema non è un metodo sconosciuto al cinema iraniano (Kiarostami e Makhmalbaf ne hanno ampiamente fatto uso), ma nel film di Mokri diventa più strumento cerebrale che non emozionale. Laddove nei classici iraniani il metacinema interrogava il passato, l’identità e la memoria, il metacinema di Careless Crime serve quasi soltanto a generare confusione e costruire ammiccamenti. Vari personaggi cercano di far bruciare un cinema con le stesse dinamiche dell’evento originale, mentre qualcun altro cerca di proiettare in un bosco il classico proiettato nel cinema bruciato nel 79. Il trait d’union fra le parti compare e poi sfugge cronicamente senza chiarezza, mentre la cinepresa di Mokri o si aggira intorno ai personaggi caoticamente oppure da ferma sul posto insegue quegli stessi personaggi con panoramiche più o meno a schiaffo, in grado in un solo cut di percepire un dialogo in loop da più punti di vista o lasciare alla luce solo i corpi e immergere il resto del mondo nel buio.
Il punto è che molte di queste affascinanti sperimentazioni cadono in un vuoto narrativo quasi irresponsabile, che allude, si dilunga, esagera, come se si tenesse sul vago compromesso di uno zelo cinefilo quasi infantile. E il tutto (in 2h20) stroppia inevitabilmente, col rischio che le varie trovate vengano offuscate dal tedio. È forse il caso di apprezzare certe interessanti esagerazioni, ma è poco chiaro se ne sia valsa la pena.
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