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Genus, Pan

Regia di Lav Diaz vedi scheda film

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La recensione su Genus, Pan

di EightAndHalf
6 stelle

La carriera di Lav Diaz ormai è più che ventennale, ma l’indole non cambia o cambio poco: ogni suo film è un viaggio apparentemente realistico ma in realtà onirico negli incubi apparentemente incontaminati delle giungle tropicali filippine, in cui l’immobilità di tutto sembra più che altro trasfigurazione della ferita lasciata dal colonialismo e dalle invasioni degli europei. Genus Pan (il titolo fa riferimento al cervello degli esseri umani violenti ed egoisti, che sarebbe fermo allo stadio dello scimpanzé) attinge proprio da quella rabbia per le violenze che la Storia ha voluto subissero le Filippine: un paese che agli occhi di Diaz è martoriato nel profondo, e porta con sé il fardello di un’identità territoriale spenta e demolita. Certo è che è una rabbia che è diventata stile ed è al confine della maniera, nella misura in cui adesso è il mezzo con cui Lav Diaz ha deciso di esplorare i generi cinematografici: dopo il musical e il sci-fi, è il turno del thriller esistenziale alla Rashomon. E l’effetto è quello di una recita che “esiste nonostante tutto”: che esiste nonostante i pochi mezzi e il basso budget, nonostante un set di rigoglio naturale sempre uguale, e nonostante interpretazioni un po’ amatoriali (tranne la solita brava espressiva Hazel Orencio). È una recita talvolta grottesca fatta tutta sotto luci artificiali che sono fari nella notte e dentro scatole visive costruite come fotografie, ma in cui è imprescindibile che scorra il tempo. 

Certo se si è abituati alle lunghe epopee dei film da Evolution of a Filipino Family in poi, qui Diaz sembra quasi di fretta, impegnato com’è anche in campi/controcampi e scavalcamenti di campo (difficile che ne vengano in mente altri così sostanziosi in almeno 16 anni di cinema in b/n); e ci sono anche le inquadrature fisse che non durano più svariati minuti ma anche pochi secondi (erano così belle, muoiono troppo presto). È un mezzo peccato, perché nel complesso di un fascino magnetico indiscutibile che con Diaz è sempre garanzia, il film dà l’idea di essere il riassunto di un’idea che era degna di un’altra epopea, fatta di mitologia, apparizioni catartiche e canti mistici e spirituali che sprigionano il loro usuale potere ipnotico. 

Per sì e per no, è un buon film per i non conoscitori del regista, abbastanza adatto agli esploratori anche non troppi temerari della Settima Arte e ricco di idee e creatività che nel regista filippino non sembrano mancare mai.

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