Regia di Jasmila Zbanic vedi scheda film
Venezia 77. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Tornato a casa dopo l'abbuffata veneziana ero piuttosto impaziente di consigliare ad un collega la visione di "Quo vadis, Aida?", film destinato alle sale italiane, covid-19 permettendo, grazie allo sforzo congiunto di Lucky Red e Academy Two. Sapevo che il mio collega aveva prestato servizio volontario presso le forze ONU in Bosnia Erzegovina nel 2000 ed ero sicuro che l'argomento del film sarebbe stato di suo interesse. Non rimasi, perciò, sorpreso, al mio rientro, che avesse già sentito parlare del film al TG e fosse al corrente del passaggio alla Mostra di Venezia. Per sua ammissione egli ebbe la fortuna di andare in Bosnia in un momento abbastanza tranquillo del conflitto e l'eccidio di Srebrenica era già roba vecchia per i soldati in forza alla missione di pace nell'anno giubilare. Descritta la trama per sommi capi, ovvero la storia di Aida, un'insegnante di inglese che lavora come traduttrice per l'ONU e del suo disperato tentativo di mediare tra serbo-bosniaci e olandesi per salvare la famiglia e gli abitanti di Srebrenica, ho sottoposto il mio collega ad un interrogatorio degno del peggior Ratko Mladic per ottenere qualche interessante informazione che mi permettesse di valutare un film straziante, difficile da ignorare ma anche potenzialmente di parte.
Il resoconto del collega mi ha offerto una più chiara visione del film della regista bosniaca Jasmila Žbanic. Per prima cosa ho avuto conferma che il contingente olandese dell'UNPROFOR fece, effettivamente, quella "figuretta barbina" che appare palese nel racconto di Žbanic e, a quanto pare, la clamorosa umiliazione patita aleggiò per molto tempo in testa alle truppe dislocate nei Balcani tanto che, a distanza di cinque anni dall'eccidio, l'episodio era ancora difficile da affrontare. Ma, cosa più importante, ho avuto conferma del silenzio dell'ONU alle disperate richieste di aiuto arrivate dai militari olandesi affinché le Nazioni Unite bloccassero l'esercito della Repubblica Serba di Bosnia con bombardamenti aerei e inviassero ulteriori soldati per equilibrare i rapporti di forza tra i pochi caschi blu ed il furioso esercito di Mladic. Non avevano l'ingaggio per sparare e non avrebbero brandito armi contro le milizie serbe, a meno che non fossero stati attaccati, così mi è stato detto dal collega che ebbe modo di vedere come andavano le cose sul campo cinque anni più tardi, ovvero in maniera non dissimile da quanto accadde nel 1995, pur senza simili stragi. I serbo-bosniaci erano troppo furbi per provocare direttamente l'UNPROFOR e di fatto fecero il brutto e il cattivo tempo senza che gli olandesi muovessero un dito per alleggerire la pressione dell'esercito serbo-bosniaco sui territori già da tempo finiti sotto la "protezione" ONU. Durante la visione di "Quo vadis, Aida?" mi sono chiesto se quei gracili bambini appena usciti di scuola, con l'espressione spaurita, col casco azzurro sulla fronte e la divisa estiva troppo larga per quelle gambe rinsecchite fossero una presenza scenica che consentisse alla regista di dimostrare come l'esercito difensore fosse troppo giovane, inesperto e sostanzialmente impreparato per missioni complesse in teatro di guerra. Il mio collega mi ha confermato, ancora una volta, che l'età media di coloro che prendevano parte alle missioni di pace per conto dell'Onu era piuttosto bassa. Egli stesso aveva 22 anni quando sbarcò nei Balcani.
Jasmila Žbanic non ha dunque esagerato nella rappresentazione della tragedia di Srebrenica. Il colonnello Thom Kerremans tentò ripetutamente di avere un riscontro dal Palazzo di Vetro ed ottenne solo un lungo silenzio. Si arrese all'evidenza e consegnò ai serbi i cittadini di Srebrenica, che vennero giustiziati nella vicina Potocari, con la stessa compassione di un Ponzio Pilato alle prese con una noiosa seccatura. Žbanic si è ispirata alle vicende del traduttore bosniaco Hasan Nuhanovic che perse padre, madre e fratello a Potocari. La regista però ha declinato il genere al femminile perché "Quo Vadis, Aida? per me è un film che nasce per onorare le madri, sorelle, mogli e figlie che subirono quell’orrore, che si videro portare via tutto”. A dare voce a quelle donne la bravissima Jasna Djuricic la cui vibrante recitazione ha dato forma ad un universo femminile violentato fisicamente da stupri a tappeto ed emotivamente dalla perdita degli uomini giustiziati a causa della religione e dell'etnia. Assodata dunque la coerenza con la cronaca, con l'unico inserto della protagonista femminile come elemento di finzione, il film di Žbanic si è mantenuto fedele alla realistica rappresentazione della storia grazie a dialoghi in inglese intervallati da traduzioni ed altre conversazioni in bosniaco o serbo, attori fiamminghi e ben 6000 comparse a rendere l'idea di un popolo schiacciato sul perimetro di una cancellata che rappresentò il limite invalicabile tra la salvezza e la morte. Un'efficace alternanza tra momenti privati e convulse sequenze d'insieme hanno contrapposto silenzi avvolgenti al chiasso di urla disperate e corpi in balia di tragici eventi. Žbanic ha mantenuto serrato il ritmo ed elevato il senso di drammaticità di una narrazione culminata nello sterminio consumato, ma appena percepito, all'interno di una palestra destinata a trasformarsi da luogo di abbellimento del fisico a fossa straripante corpi senza vita. Personalmente avrei chiuso il film sulle immagini dolenti di una carneficina simile nei modi a quella perpetrata nei campi di sterminio nazisti. Uomini stipati in un luogo dalle pareti bianche, lunghi istanti di silenzio prima dell'irrompere fragoroso della morte. Žbanic ha preferito seguire un'altra strada e, raccontando una pagina di storia del proprio paese, ha scommesso sulla rappresentazione del difficile momento della rinascita di un singolo individuo innalzato a vessillo di una comunità intera. La visione della regista, incentrata sul percorso di dolore della protagonista, sublimato nel riconoscimento dei morti, non poteva, perciò, soffermarsi sulla mattanza, ma doveva andare oltre per dare vita alla speranza contenuta in piccole mani di bimbo rivolte verso l'alto, frementi come il volo di leggiadre farfalle tornate a sorvolare speranzose i rigogliosi prati di una nuova stagione di coesistenza pacifica. Speriamo sia così in futuro e se sarà così il lavoro di Jasmila Žbanic avrà sicuramente giocato un ruolo importante nel diffondere il desiderio di una coabitazione pacifica in un paese martoriato da ataviche divisioni.
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