"Che cosa resterà di me? Del transito terrestre? Di tutte le impressioni che ho avuto in questa vita?"
MESOPOTAMIA
Chissà se a Franco Battiato questa opera cinematografica sarebbe piaciuta?
Il cantautore siculo lascia un Vuoto che dopo giorni stento a metabolizzare.
Voltandomi indietro scopro di averlo sempre avuto al mio fianco fin quando da bimbo festoso per i mondiali di Zoff, Tardelli e Cabrini il cuccurucucù paloma inneggiava nel caldo soffocante della bolgia madrilena.
Poi il misticismo e la preghiera che mi spronarono a scoprire Daumal, Guènon, Gurdjieff e i sufisti.
La compagnia di Sgalambro che mi spalancò la porta dello spavento supremo, ancor oggi incantato da una ricerca musicale e meta testuale unica nel suo genere.
Le cover in tarda età riarrangiate con rispetto ma muscolarità tanto da renderle vive e pulsanti; fleurs capaci d'illuminare parte delle mie mancanze.
Chiude il cerchio il ritorno al Fetus, opera primordiale d'impatto spiazzante riascoltata oggi nel marasma contemporaneo.
Un ricercatore instancabile, superbo che con maniacale conoscenza musicale ha forgiato il mio gusto sperimentale e dettato quello letterario, spirituale.
Battiato avrebbe apprezzato o meno questo film o lo avrebbe degnato solamente di una delle sue famose battute fuori tempo apparente?
Poco importa o niente è come sembra?
L'opera di Tamhane è straordinaria per molti motivi; a partire da ciò che racconta, dalla musica che suona, dalla dedizione che ottempera, da quello che rinchiude in un finale inaspettato.
Ancora una volta il cinema asiatico con equilibrio e coraggio detta la linea.
A noi spettatori l'arduo compito di difenderlo, diffonderlo per resistere alle sirene mai come ora mediocri dei prodotti occidentali schiavi degli algoritmi.
Lode all'inviolato.
Sitar in sottofondo... Voce che gorgheggia... Un oceano di silenzio.
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